«Poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi. Neppure un animale avrebbe usato così tanta crudeltà»: nell'ultimo atto del processo di appello per l'omicidio di Yara Gambirasio l'imputato Massimo Bossetti rivolge «un sincero pensiero» all'«unica vittima di questa tragedia: una ragazzina che aveva diritto di vivere». Bossetti continua davanti alla Corte: «Io non confesserò mai un delitto che non ho fatto. Sono innocente. Il vero, i veri assassini sono liberi, stanno ridendo di me e della giustizia». Il delitto «è opera di persone disturbate, schifose, sadiche. Nessuno ha chiesto la perizia psichiatrica per me perché altrimenti sarebbe emerso che sono una brava persona, non ho mai fatto male a nessuno. La violenza non fa per me, non è la mia indole, non sono un assassino, ficcatevelo in testa una volta per tutte». Il carpentiere di Mapello legge i fogli che ha scritto in carcere mostrando dolore e commozione.
«Sono arrabbiato, deluso, stanco di sentire chi mi accusa ingiustamente». Ricorda il giorno dell'arresto «scandaloso. C'era bisogno di scatenare l'esercito? C'era bisogno di farmi inginocchiare? Perché avete agito così umiliandomi davanti ai miei figli, al mondo intero, perché?», chiede. «Mi avete trattato come un mostro, vergognatevi». In quel momento si è sentito «come una lepre abbagliata, spaventata, accerchiata da tanti cacciatori». Il pensiero va al padre, allora malato, «sicuramente gli avete accelerato la sofferenza» dice mentre la madre Ester piange. C'è commozione anche quando parla dei tre figli. «Voglio che i miei figli pensino: il papà è una persona onesta e merita la nostra stima».
A Bossetti trema la voce e confida che quando vanno a trovarlo in carcere, gli chiedono sempre quando torna a casa. L'imputato implora i giudici: «Concedetemi la superperizia» sul Dna così «posso dimostrare con assoluta certezza la mia estraneità ai fatti. Cosa dovete temere se tutto è stato svolto secondo le norme? Perché non consentite che io e la difesa possiamo visionare i reperti? Non posso essere condannato con un Dna anomalo, strampalato». Quella traccia «non può essere mia. Non solo non ho ucciso Yara, ma non ho mai avuto contatti con lei. Si è verificato un errore. Il più grande errore del secolo».
Infine l'appello alla Corte: «Se tenete alla vita di una persone non tralasciate nulla, la mia vita non è più vita. La mia vita è nelle vostre mani, voi potete trovare la verità, non posso marcire in carcere per un delitto che non ho commesso».
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