La suggestione Colao: aria di unità nazionale (e lui nuovo premier)

Conte teme il supermanager e lo vorrebbe ministro per marcarlo. Analogie con il 2011

La suggestione Colao: aria di unità nazionale (e lui nuovo premier)

Il supermanager che molti, anche nella maggioranza, sognano al posto dell'azzimato Conte, per ora se ne sta a Londra.

Il lockdown non guarda in faccia nessuno, e anche Vittorio Colao si ritrova costretto a guidare la (pletorica) task force che gli hanno rifilato, tanto per rendergli più complicato il compito, facendo smartworking dall'estero. Lontano da quegli insidiosi palazzi romani dove si intrecciano sogni, incubi e speranze e si disseminano trappole sul suo futuro. Le veline di Palazzo Chigi, ad esempio, ieri ventilavano la possibilità di «promuovere» Colao a ministro del suo governo. Perché, spiegano flautate le medesime fonti, a Conte il manager piace tanto, ci si trova proprio bene ed è molto soddisfatto di averlo «chiamato». Tutto falso, ovviamente: Conte ha subìto la indicazione di Colao da Quirinale in primis e Pd subito dopo, si è opposto strenuamente, ha dato anche - a suo modo - in escadescenze. Poi, una volta costretto ad ingoiare la nomina perché «devi farti aiutare se no non reggiamo», ha proceduto a sabotarla: l'ipotesi di farlo ministro (immediatamente e ferocemente osteggiata dal Pd) è solo un modo sotterraneo per chiarire che il capo della task force deve restare gerarchicamente sottoposto al premier. Altri segnali di mobbing sono subito arrivati: da quello di far trapelare sui media che ai membri del comitato è stato imposto di sottoscrivere un «impegno alla riservatezza» (niente interviste, niente pubbliche discussioni sulla Fase due, possono parlare solo con Conte e Casalino) a quello di mandare alle riunioni i capi gabinetto del premier e dei ministri, tanto per far sentire loro il fiato sul collo dei «controllori» governativi.

Il perché di tanta fatica per neutralizzare Colao è presto detto: Conte, che i frequentatori di Palazzo Chigi descrivono come «ossessionato dai complotti contro di lui», sa bene che il fronte di chi lo vede sempre meno all'altezza del compito di fronteggiare la catastrofe sociale ed economica che si sta abbattendo sull'Italia si allarga. E che molti aspettano solo il primo inciampo di un governo che, ammettono ai vertici Pd, «si regge con lo sputo» per disarcionarlo e, in una sorta di riedizione al contrario del 2011, sostituirlo con un esecutivo di emergenza sostenuto da una maggioranza trasversale. Mario Draghi ha fatto sapere, dicono i bene informati, di non essere particolarmente allettato dalla prospettiva, le speranze si sono quindi trasferite su Colao.

Matteo Renzi, che per primo ha evocato l'urgenza di un piano erculeo per cercare di rimettere in moto l'Italia e che con il manager ha buoni rapporti, non nasconde di puntarci: «Siamo arrivati tardi sull'emergenza sanitaria, ora vediamo di non arrivare tardi anche sulla ripartenza. E una figura come quella di Colao che è stata incaricata di guidare il percorso di ripartenza può dare a tutti un senso di speranza e di positività per il futuro». Un pezzo nutrito di Pd, sempre più insofferente verso un premier che «crede di essere Churchill ma sembra Facta», ci spera in silenzio.

E Gigino Di Maio, che non perde occasione (vedi sceneggiate sul Mes) per mettere all'angolo Conte, farebbe carte false per liberarsi di lui e impadronirsi di nuovo del partito grillino, oggi largamente appiattito su Palazzo Chigi. A blindare Conte resta il Nazareno, che ieri - prendendolo per le orecchie - ha salvato il premier dal cul de sac del «no Mes» in cui si era ottusamente infilato. Ma fino a quando?

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