Ogni volta che la leadership di Salvini subisce una battuta d'arresto, come per la non vittoria in Emilia Romagna (nella Lega la davano per fatta), riprendono le quotazioni dell'eterno numero due del partito, Giancarlo Giorgetti. Settori trasversali extraleghisti guardano da sempre a lui come a un interlocutore più rassicurante e moderato rispetto a Salvini (ma era così anche con Bossi), l'uomo di collegamento ideale per una coalizione non troppo spostata sul sovranismo. L'ampio spettro delle relazioni dell'ex sottosegretario, che vanno da Draghi al Quirinale (fu scelto addirittura da Napolitano come uno dei suoi «saggi»), alimentano la costruzione di retroscena che lo vogliono al centro di progetti politici, nuove maggioranze, future premiership. Tanto più che Giorgetti, vista l'esperienza maturata sul campo, non fa mancare osservazioni critiche alla gestione di Salvini quando il capo ne sbaglia una. Così era successo la fine del governo gialloverde («Matteo ha sbagliato i tempi della crisi, doveva rompere prima...»), così succede anche per l'inciampo in Emilia Romagna, dove Giorgetti vede i segnali di un limite da colmare nell'azione di Salvini, «ci è mancato il voto delle città, servirà uno sforzo di visione per parlare con più efficacia a quegli elettori» più difficili da catturare con citofonate e slogan. Si tratta dell'elettorato «borghese», più cittadino che extraurbano, a cui guardano anche Forza Italia e il partitino di Renzi, e che forse si troverebbe più a suo agio con un leghista alla Giorgetti piuttosto che con Salvini. E infatti dal fronte azzurro parte proprio una suggestione rivolta al numero due leghista.
A lanciarla è l'ex ministro Renato Brunetta, che immagina una maggioranza di governo alternativa - subordinata ad una rottura dei renziani con il M5s sulla prescrizione - fatta appunto da Lega, Forza Italia, Fdi più Italia Viva. Con quale premier? «Può essere il bravo Giorgetti» risponde Brunetta.
Nella Lega la derubricano a «tentativo di avvelenare i pozzi» da parte degli alleati, lasciando immaginare strane manovre dietro le spalle di Salvini per alimentare divisioni interne. Anche i retroscena dei giornali su un presunto faccia a faccia in cui Giorgetti gli «rimprovera» gli errori fatti in campagna elettorale vengono smentiti seccamente («Eravamo in due città diverse, eravamo in due regioni diverse, non ci siamo visti. Cercano di seminare zizzania ma non ci riescono» scrive Salvini), anche dallo stesso vicesegretario: «Con Matteo non c'è nessun litigio. Non ho litigato neanche con Di Maio quando c'era da litigare, figuriamoci con Salvini... Ma, come si fa nei movimenti politici seri, quando ci sono le elezioni si esaminano i risultati per cercare di migliorare la prossima volta». I due si sono visti ieri a Roma per preparare la riorganizzazione della Lega con nomina di nuovi responsabili di aree tematiche.
Sull'ipotesi di una maggioranza alternativa con Giorgetti premier nella Lega osservano che la linea di Salvini è sempre la stessa: l'unica strada è il voto. Il numero due sarebbe semmai un ottimo ministro dell'Economia in un futuro governo a trazione salviniana. Ma per arrivarci c'è di mezzo un cammino che può essere lungo e con imprevisti.
D'altronde a dicembre era stato proprio Salvini a proporre un governo di salvezza nazionale, «sospendendo per un tempo breve e necessario attacchi, ostilità e polemiche, perché l'Italia viene prima degli interessi di partito». Gli aveva subito fatto eco un altro leghista, proponendo addirittura un governo Draghi sostenuto dalla Lega. Chi era? Giorgetti, of course.
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