
O un malato si somministra da solo il farmaco che pone fine alla vita, o non è possibile procedere con il suicidio medicalmente assistito. Cioè: non può essere una terza persona a iniettarlo.
Lo stabilisce la Corte Costituzionale creando non poco imbarazzo tra politici, associazioni e famiglie di malati. Come può, ad esempio, un tetraplegico grave premere il pulsante da solo? E come può esercitare il suo diritto al fine vita (autorizzato sulla carta) se nemmeno il medico può iniettargli il farmaco letale? La sentenza arriva in risposta al Tribunale di Firenze sul caso sollevato da Libera, 55enne toscana, affetta da sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata e impossibilitata ad autosomministrarsi il farmaco nonostante il via libera dall'azienda sanitaria. La donna aveva presentato un ricorso urgente. Niente da fare: il farmaco somministrato da altri è inammissibile. Secondo la Corte "il giudice non ha motivato la reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l'uso degli arti", ossia una pompa infusionale attivabile con comando vocale o tramite la bocca o gli occhi.
"La Corte costituzionale - interviene l'associazione Coscioni - non ha preso una decisione sull'eutanasia per mano di un medico. Secondo la Corte era necessario che il tribunale di Firenze, prima di sollevare la questione di legittimità, oltre a chiamare in causa l'azienda sanitaria competente, coinvolgesse organismi specializzati che operano a livello centrale, come l'Istituto Superiore di Sanità". Cioè l'organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale.
La questione sta proprio qui: il coinvolgimento o meno del Sistema sanitario nelle pratiche del fine vita, nocciolo del dibattito politico. Nel ddl, che la prossima settimana approderà alla commissione Senato, si ipotizza di escluderlo.
La sentenza della Corte costituzionale viene letta in modi diametralmente opposti: chi ci vede una richiesta implicita alla politica di attuare misure meno restrittive per evitare situazioni paradossali come quella di Libera, chi ci vede la parola fine al tentativo di autorizzare per legge il fine vita. "La strumentazione, il personale e il farmaco letale non dovranno essere dispensati dal Ssn - spiega Pierantonio Zanettin (Fi), co-relatore della legge sul fine vita - Si potrà intervenire solo privatamente. Stiamo cercando, però, su questo aspetto molto delicato, il giusto punto di equilibrio. Un medico curante che presta servizio nel Ssn potrà intervenire, ma lo farà non come tale, lo farà come privato". Più netto il co-relatore di Fdi, Ignazio Zullo, che interpreta la sentenza come "la chiusura di ogni tentativo delle opposizioni di introdurre l'eutanasia. La Corte costituzionale solleva il problema del macchinario ma non chiede al Ssn di compiere l'atto. Il sistema sanitario non può portare la morte, è nato con la finalità della cura". Il capogruppo di Fdi Lucio Malan critica gli "interventi periodici della Consulta nel legiferare". Al netto delle posizioni politiche, il costituzionalista Stefano Ceccanti (Sapienza di Roma), sostiene non sia possibile praticare il fine vita escludendo il Ssn.
"Con l'ultima sentenza, la Corte costituzionale spiega, di nuovo, che escludere il servizio sanitario nazionale nella tutela di una situazione giuridica, ossia di un diritto, sarebbe illegittimo. Peraltro, perché si capisca con chiarezza assoluta, si parla per la prima volta di diritto al fine vita nelle condizioni che sono state stabilite. Parlamento avvisato mezzo salvato".