«Sì, sembrava uno di noi». Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha espresso apprezzamento per l'intervento del vicepremier Luigi Di Maio al consiglio degli imprenditori svoltosi a Milano in Assolombarda. Il numero uno di Viale dell'Astronomia è stato tratto in inganno dalla presentazione degli interventi contenuti nei decreti Sblocca cantieri e Crescita che, in teoria, sarebbero favorevoli al mondo delle imprese. E di teoria si può solo parlare giacché i due provvedimenti non sono ancora stati pubblicati sulla Gazzetta ufficiale perché la loro impostazione «sviluppista» non piace all'ala dura del Movimento 5 Stelle che guarda con sospetto a ogni norma che incontri il favore del mondo delle aziende italiane.
La battuta, però, ha suscitato clamore perché non più tardi di due settimane fa il Centro studi confindustriale ha anticipato il Def azzerando la crescita prevista per il 2019 preannunciando anche la manovra monstre per il 2020. Lo stesso Boccia, poi, non ha mai risparmiato bordate al governo. Di Maio in versione «Zelig» ha colpito ancora facendo leva su due decreti molto attesi. Le capacità affabulatorie, tuttavia, non cancellano il passato anche se per un'ora magari avranno indotto il presidente di Confindustria a sorvolare.
Basta tornare indietro allo scorso luglio per riportare alla luce la prima «sentenza punitiva» nei confronti delle imprese: il decreto Dignità che ha ristretto il numero e la durata dei rinnovi dei contratti a termine di fatto bloccando ulteriormente il mercato del lavoro nonostante la congiuntura sfavorevole. In quel caso le rimostranze confindustriali rimasero ampiamente inascoltate, scavando sin dall'inizio un solco tra Viale dell'Astronomia e Palazzo Chigi.
Non molto meglio è andata alle imprese con la legge di Bilancio. La flat tax per le partite Iva fino a 65mila euro si rivolge esclusivamente a professionisti e piccolissime imprese. La manovra ha abbassato l'iperammortamento, ha eliminato le aliquote di favore dell'Iri (mai entrata in vigore) e dell'Ace (che rendeva più convenienti gli aumenti di capitale) e ha ridotto il credito d'imposta sugli investimenti in ricerca e sviluppo. Ma soprattutto con lo sblocco delle addizionali comunali ha riversato sulle aziende 1,8 miliardi di maggiori tasse a partire da Imu e Tasi.
La Confindustria di Boccia è sempre stata in prima linea per lo sblocco delle Grandi opere, ha fatto fronte comune con le altre associazioni datoriali per chiedere di non fermare la Torino-Lione e gli altri cantieri più importanti. È arrivata persino a trovare punti di contatto con il sindacato per protestare contro la mancanza di attenzione nei confronti della crisi del comparto edile. A quel tempo, Di Maio, non sembra certo «uno di loro».
Proprio il Rapporto di primavera del Centro studi di Confindustria, infine, ha squadernato l'inutilità della stessa legge di Bilancio 2019 che ha creato deficit per reddito di cittadinanza e quota 100 che rappresentano due misure con un impatto molto modesto sulla crescita il cui costo elevato ha sottratto risorse agli investimenti.
Questo nuovo e maggiore deficit ha creato i presupposti per gli attuali livelli elevati dello spread che incide negativamente sui costi dei finanziamenti bancari, già meno convenienti a causa della maggiore tassazione che da quest'anno grava sul comparto.Ecco, Di Maio non è «uno di Confindustria» per questi semplici motivi. Ma è molto bravo a fingere il contrario.
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