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Sul confine più armato del mondo nella casetta blu tra le guardie ninja

Nel corridoio tra le Coree arrivano ogni anno 100mila turisti A cui è vietato salutare con la mano e portare i jeans strappati

Sul confine più armato del mondo nella casetta blu tra le guardie ninja

Panmunjom Per andare a Panmunjom, l'area di sicurezza congiunta al confine tra le due Coree, c'è un rigido dresscode. L'addetto alle prenotazioni dell'ufficio di Seul dell'Uso, l'United Service Organizations qualcosa di simile al dopolavoro delle truppe americane in giro per il mondo è categorico fino al parossismo. «Vietato indossare jeans strappati, magliette, pantaloncini minigonne, infradito e abiti sportivi». Ammesso l'abbigliamento casual. Per partecipare alla visita bisogna prenotare e farlo almeno 48 ore prima, in modo che l'esercito sudcoreano possa controllare le generalità. E così viene da chiedersi se sia il caso di mettersi in giacca e cravatta per andare a curiosare sul confine più militarizzato del mondo.

Che sarà pure un luogo in piena guerra fredda, dove da 65 anni i militari delle due Coree si fronteggiano passano il tempo a guardarsi ma ogni anno è visitato da oltre centomila persone, disposte a pagare i quasi 100 dollari per una giornata nella Dmz, la zona demilitarizzata. Visita che culmina, appena prima di pranzo, con la tappa a Panmunjom: il luogo dove ieri si sono incontrate delegazioni «ai massimi livelli» per parlare della partecipazione degli atleti di Pyongyang alle Olimpiadi che si terranno a febbraio dall'altro lato della cortina di bambù.

La Dmz, stabilita dagli accordi di pace del 1953, è una fascia lunga 250 chilometri e larga quattro che divide la penisola coreana sul filo del 38°parallelo. La zona è amministrata dalle Nazioni Unite, che hanno checkpoint all'ingresso, ma di fatto sul confine ci sono truppe coreane e militari americani. Panmunjom, che si trova 50 chilometri a Nord-Est di Seul, è stata fino al 2007 l'unico punto di contatto reale tra i due Paesi. Poi è stata aperta una ferrovia che arrivava nella zona economica speciale di Kaesong, nel Nord. A Panmunjom, all'interno di una baracca posizionata esattamente sul confine, è stato firmato il primo armistizio. E qui da allora si riuniscono le delegazioni delle due Coree per incontri ufficiali e negoziati. Pitturata di quell'azzurrino pallido che contraddistingue la bandiera Onu e avvolta nel silenzio, la baracca è il fulcro della visita. Si trova a cavallo del confine, per metà in territorio nordcoreano. Così semplicemente attraversando una stanza si può dire di aver messo piede nel regno di Kim Jong-un. Tutto è simmetrico, anche il tavolo dove il generale americano William Harrison Jr e il nordcoreano Nam siglarono la fine della guerra, è diviso in due dalla linea di separazione. Linea che all'esterno è un cordolo alto pochi centimetri. Alle volte alle finestre fanno capolino militari nordcoreani che curiosano furtivamente, ma più spesso non accade nulla. A vigilare, ritti davanti alla porta d'accesso, militari delle truppe scelte sudcoreane con tanto di elmetto e Ray Ban scuri, fermi con i pugni serrati lungo i fianchi nella loro rigida posizione Taekwondo. Se chiedi come mai, ti spiegano che sono lì per evitare che i nordcoreani possano aprire la porta per rapire i turisti. Non è mai successo, e forse è una storiella inventata per i boccaloni, ma viene lo stesso da fare un passo indietro, non si sa mai. Del resto sia all'inizio del tour che poco prima di arrivare sul confine non hanno fatto altro che avvisare che «visitando questo posto si sta visitando un territorio ostile, dove è possibile venir feriti o uccisi (!) come risultato diretto di un'azione nemica».

A ogni modo tutta la scena sembra uscita da un film di spionaggio, con i militari del Nord vestiti di verde oliva e marrone che ti scrutano dal binocolo, mentre tu li fotografi con il telefono cercando di non farti vedere. La guida un militare americano ripete di non fare mosse che potrebbero essere interpretate come atti ostili, e allora ti chiedi se una fotografia possa essere interpretata come un atto ostile o semplicemente come una scemenza. «No», viene spiegato. «Un atto ostile potrebbe essere salutare con la mano, fare un segno con un dito o, ancor peggio, aprire la giacca. Potrebbero pensare che uno stia per estrarre una pistola e agire di conseguenza». Nel dubbio, meglio tenere la giacca chiusa.

Nel corso della giornata si visitano anche il «terzo tunnel per le infiltrazioni»; ovvero una galleria scavata dai nordcoreani per invadere il Sud. Scoperto nel 1978 grazie alla soffiata di un disertore, era scavato a una profondità di 70 metri. Lungo un chilometro e mezzo, alto e largo due, e poteva far passare circa 30mila soldati in un'ora, anche se i nordcoreani hanno sempre sostenuto che fosse soltanto il semplice cunicolo di una miniera. Altri tre sono state trovati lungo il confine, ma si pensa ce ne siano almeno una decina, tutti da scovare. Davanti al tunnel si trova la DMZ Exhibition Hall, una specie di museo dove si racconta la storia della zona e del suo ecosistema naturale, una fitta striscia di bosco ormai vergine. Dove non manca il negozio di souvenir, perché una calamita dal frigo non se la lascia scappare nessuno. E poi si fa tappa all'osservatorio di Dora, dove gratuitamente sono a disposizione potenti binocoli per spiare l'ultimo regime stalinista al mondo. Da qui si vede il «Ponte del Non Ritorno», dove finita la guerra vennero scambiati migliaia di prigionieri.

E sempre nella Dmz ci sarebbero anche due villaggi abitati, ma non si possono vedere. Kijng-dong sul lato Nord, dove su un traliccio che sembra una torre Eiffel smagrita alta 160 metri svetta un'immensa bandiera rossa e blu che pesa 270 chili. E Daeseong-dong, sul lato Sud, anche lui con la sua bella bandiera ma più piccola, l'asta misura solo 98 metri. Il villaggio del Sud è quotidianamente bersagliato dalla propaganda comunista: una radio li invita ad arrendersi e a passare dall'altro lato.

Finita la gita, tanto surreale quanto istruttiva, rimane comunque un dubbio. Ma perché mai non si possono indossare jeans strappati? La spiegazione è d'altri tempi, e in linea con questo posto. Pare infatti che in passato la propaganda della Corea del Nord abbia utilizzato delle immagini dei turisti con i pantaloni strappati per spiegare ai propri cittadini che gli americani sono talmente messi male che mandano in giro le persone con i pantaloni strappati.

Anche in Nord Corea l'abito fa il monaco.

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