Sul pullman della speranza coi baby naufraghi dei barconi

Sbarcati a Trapani e subito in viaggio a caccia di fortuna. La gente li guarda. E non capisce

Sul pullman della speranza coi baby naufraghi dei barconi

Il grido riempie la strada deserta. Dal fondo della via quattro ragazzini di colore si precipitano verso la fermata dell'autobus. Sono senza bagaglio, corrono con le infradito ai piedi nei larghi pantaloni di tuta colorati. Ad aspettarli c'è un tipo con tutta l'arcata superiore dei denti saltata tranne un incisivo e un canino d'oro che consegna i biglietti dell'autobus. Urla ancora qualcosa. Dove si erano cacciati. Rischiavano di perdere il viaggio. Salgono come lepri e prendono posto sui sedili. Dietro di loro, a ruota, due giovani sui trent'anni, visibilmente subsahariani, il cappuccio calzato in testa. Dietro altri ancora, una decina. «Dove andate?». «Palermo, Roma», sorridono. Quando siete arrivati? «Yesterday». E indicano il porto: «Sea», dal mare. «Foto?». Si mettono in posa e fanno il segno a V con indice e medio: vittoria. Così parte il viaggio. A dieci ore dallo sbarco a Trapani, Salema, Sadi, Inao e gli altri volano via. Non hanno nemmeno dormito nel centro di accoglienza. Arrivati la sera, ripartiti la mattina. «Sleep Casa», dice il più piccolo, Inao. Ha quindici anni, è eritreo. È stato ospitato per la notte da un connazionale, dice in un inglese incerto, poche parole, essenziali. I basisti non salgono. Il loro lavoro finisce qui. All'arrivo a Palermo, come una staffetta, i soci aspettano e forniscono nuovi biglietti. Inao è già un fantasma in Italia. Come Salema e Sadi. Spariti appena sbarcati.

Fa cenno con la mano di volere un telefono. Nessuno in pullman gli dà retta. Sul Trapani-Palermo sono tutti turisti, e immigrati in fuga. I turisti tirano fuori i fazzoletti di carta per poggiare la testa. I naufraghi spalancano gli occhi e iniziano a guardare la strada che scorre. Il verde che acceca al sole impresso sui finestrini, la costa ampia di Castellammare del Golfo. Due euro per Inao e lui è felice. Ringrazia e chiede di vedere la macchina fotografica. «Dove vai?». «Roma, Germania. Work, work» ripete. Nessuno lo ha trattenuto a Trapani, anche se è così piccolo che occupa metà sedile. «Libia, mare». Salema e Sadi vengono dal Sudan. Anche loro hanno un boss che guida tutti i loro passi. È un ragazzo nigeriano, vive a Trapani da un anno. Non parlano inglese. Ripetono solo «Roma». Sono arrivati a Trapani venerdì sera, alle sei e mezzo, su un mercantile danese. Hanno ricevuto il braccialetto bianco come ogni immigrato che tocca il suolo italiano. Intorno alle 23 via Fardella, l'arteria principale della città che corre parallela al lungomare, era affollatissima di immigrati arrivati con gli sbarchi dei giorni scorsi. In centro, all'inizio del passeggio di via Garibaldi, un ragazzo di colore era riverso a terra con una bottiglia di birra e schiumava dalla bocca. A Palermo l'autobus arriva a mezzogiorno, quando è appena concluso lo sbarco di altri novanta migranti. Salema, Sadi, Inao e gli altri piccoli eritrei scendono per primi e raggiungono i loro nuovi basisti in attesa. Si scambiano una stretta di mano. A un centinaio di metri, due agenti della polizia a bordo di un auto elettrica stanno discutendo con un italiano.

Non si muovono alla presenza di minori soli, di basisti che traghettano i clienti esattamente come gli scafisti del mare. Fermi, in Sicilia ora è tutto così. Nessun controllo. Tutto intorno immigrati soli, in gruppo, camminano sulle pensiline, in un via vai dal mare ai binari che non finisce mai. Ora è pomeriggio, Agrigento. Sono le quattro e un quarto e sta per partire un autobus per Roma. Dieci uomini, tutti sudanesi, ricevono i biglietti, da un italiano questa volta. «Glieli abbiamo dati noi - dice, è siciliano - ma qui non ci sono boss, eh, non prendiamo niente». Una scusa non richiesta. I naufraghi vengono dal centro di accoglienza di Siculiana. Sono in Italia da cinque giorni. Nessuno vuol parlare del viaggio in mare.

«Una volta - racconta un ragazzo che lavora ai templi di Agrigento - ho visto una fila di gente che camminava dopo lo sbarco verso la stazione di Porto Empedocle, scortati semplicemente dalla polizia per evitare che fossero schiacciati. Tra questi disperati, senza controlli può entrare di tutto».

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