
Si diceva «maggioranza bulgara», una volta, per dire di un partito, o di un politico, eletto con una maggioranza schiacciante di consensi. Funzionava così in Bulgaria, ai tempi della Cortina di Ferro e del compianto presidente Todor Zhivkov. Lui, Zhivkov, fedele chierichetto di tutte le messe cantate che si officiavano nella Mosca sovietica fino alla caduta del Muro, credeva davvero di incarnare i sogni, le speranze e le attese del 98 per cento dei suoi concittadini. Ma c'era la Guerra Fredda, Internet era di là da venire, i Paesi satelliti si muovevano all'unisono, allineati e coperti, cantando lo spartito del Cremlino; e di Villaggio Globale, a destra dell'Ungheria, guardando la carta geografica, nessuno aveva mai sentito parlare.
Ma che dire del Kazakistan del 2015? Che dire del grandissimo presidente Nursultan Nazarbayev che domenica scorsa ha rivinto le elezioni presidenziali con il 97,7 per cento dei suffragi, migliorando il suo record di faccia tosta del 2011, quando superò di poco il 95 per cento? Non dovrebbe toccare a lui, ora che il coreano Kim Jong-il è morto, il titolo di «amato leader»? E non dovremmo, noi dei giornali, smettere di parlare di «maggioranza bulgara», vecchio arnese del passato, attualizzando il concetto visto quel che succede sopra il mare di petrolio e di gas su cui galleggia il regno del post comunista Nazarbayev?
Al potere dal 1991, il presidentissimo si era trovato di fronte stavolta due strani avversari: Turgun Syzdykov, del partito comunista kazako e l'indipendente Abelgazi Kusainov. Perché strani? Ma perché entrambi, caso unico nella Storia, facevano il tifo per il presidente; e non è detto, perché la misura sia colma, parificando lo spasso, che nel segreto dell'urna non abbiano votato per lui. Naturalmente, visti i tanti amici potenti di cui gode in Occidente Nazarbayev, e vista la delicata situazione del suo Paese, in vista di una transizione ormai non così lontana (il dittatore va per i 75) nessuno in Europa o in America ha battuto ciglio, di fronte a queste elezioni farsesche. Nazarbayev è «garanzia di stabilità», si dice a Roma, a Parigi e a Berlino. E con questo, dopo essersi turati il naso, l'argomento è chiuso.
Come Gheddafi a suo tempo, Nazarbayev e il suo clan governano un Paese enorme, poco popolato e ricco di risorse. E quando in ballo ci sono contratti per miliardi di dollari anche alle anime belle non viene tanta voglia di fare gli schizzinosi. Afflitto da un imbarazzante culto della personalità, Nazarbayev si è fatto perfino costruire una capitale su misura, Astana, mentre non c'è cantone delle città, o villaggi rurali che non ostentino statue e murales con la sua larga faccia di marmo.
Un santo. Uno certamente capace di fare miracoli, vista la sua carriera da operaio metalmeccanico ad «amato leader». Come a suo tempo Gheddafi, inoltre, anche Nazarbayev è passato dall'essere ateo, come prescriveva il catechismo sovietico, a interprete di un suo personalissimo Islam. Col che il cerchio si chiude, e dunque non si capisce oggettivamente per chi altri dovrebbero votare, gli abitanti della steppa kazaka.
Tra i migliori amici di Nazarbayev gli Annales kazaki annoverano il professor Romano Prodi. Ma anche Oscar Luigi Scalfaro, Lamberto Dini e Mario Monti si sono illustrati nel bacio della pantofola del dittatore kazako. Prodi, ingaggiato perché spezzi il pane della sua scienza, in tournèe ad Astana ci va almeno tre volte l'anno. Un consulente. Ma non è l'unico.
Nel parterre degli ospiti illustri figurano anche l'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e il britannico Tony Blair. Sono in genere parcelle a sei zeri, anche se Tony Blair, secondo la stampa britannica, ha incassato nove milioni di euro per il disturbo. Diciamolo: risulta difficile, poi, essere sgarbati con un simile mecenate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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