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Il suo testamento: «Forza ragazzi, dobbiamo farcela»

Strano no? Probabilmente c'è qualcosa che li univa: erano lontani da casa tutti e due per inseguire i propri obiettivi Valeria e l'attentatore, la studiosa e il fanatico, lei con nella testa le note di un concerto rock, lui che forse la musica manco la sentiva, per darsi il vile coraggio di sparare su persone disarmate si ripeteva in testa qualche sura del Corano, o le boiate che gli avevano ficcato in testa i suoi maestri di morte. Ma, anche senza conoscere il nome e la storia maledetta dell'assassino che ha ucciso la ragazza veneziana, si capisce che non avevano altro in Comune. Lui era pronto a uccidere per la sua idea perversa, lei voleva vivere fino in fondo per quello in cui credeva. Ed era, questo per saperlo non servirebbe nemmeno ascoltare le parole dignitose della madre, una ragazza che credeva nelle cose giuste: «Ricordate che era una persona, una cittadina, una studiosa meravigliosa -dice con voce ferma la mamma Luciana Milani-. Ci mancherà molto e credo, visto il percorso che stava facendo, che mancherà anche al nostro Paese per le doti che aveva. Valeria -è riuscita a trovare la forze di raccontare mamma Luciana- a Parigi aveva lavorato anche seguendo i barboni della città, questo dice tutto, dimostra la sua voglia di conoscere in tutte le sfaccettature le realtà che andava a studiare e frequentare».Valeria Solesin apparteneva a un ceppo anomalo di italiani, quelli che nel Paese dei mammoni spiccano il volo per inseguire altre possibilità, lontano da casa, da quel che ci rende comoda la vita. Cervello in fuga, dicono ora tanti, ma chissà. Di certo lei che era stata bambina a Cannaregio, nel cuore di una città d'acqua come Venezia, non ci aveva pensato tanto a inseguire le sue passioni tra i monti, a Trento. Ci si era trasferita finito il liceo, il «Benedetti» di Venezia, che ieri salutava la sua ex alunna così: «Un grave lutto ci ha colpito, ci stringiamo alla famiglia di Valeria Solesin che era partita dal Liceo Benedetti per la sua appassionata scelta di vita. Ciao Valeria...». Aveva le idee chiare, voleva studiare sociologia, quella ragazza con un sorriso così radioso che non riesci a incastrarlo con una tragedia tenebrosa come quella che se l'è portata via. La sociologia è materia che sa essere fumosa, ma la ragazza del Bataclan non era tipa da chiacchiere, sapeva maneggiare i numeri della demografia, nei fatti cercava la spiegazione dei fenomeni. A Trento si era laureata concentrandosi sulla condizione delle donne e aveva continuato anche la sua attività di volontaria per Emergency. Lì aveva conosciuto Andrea Ravagnani, il fidanzato con cui ha trascorso la sua ultima serata nella sala concerti del Boulevard Voltaire. Dopo la laurea aveva capito che in Italia sarebbe stata dura continuare a studiare, a fare ricerca come desiderava, lei figlia di un direttore scolastico, e aveva deciso sei anni fa, insieme al fidanzato, di scommettere sulla Francia, di tentare a Parigi. E qui, in gamba come tutti i suoi amici dicono che era, aveva trovato spazio. A 28 annni era dottoranda e ricercatrice all'Idem, l'Istituto di demografia dell'Università «La Sorbona». Aveva continuato a interessarsi di welfare per le donne, delle differenze tra Italia e Francia, in modo rigoroso, non ideologico, come traspare dai suoi scritti, e ora viveva con quel ragazzo incontrato a Trento, quel ragazzo che ora si dispera pensando al momento in cui l'ha persa di vista tra gli spari e le urla. «Addio Valeria», «ciao piccolo angelo». Il muro dei ricordi dei social network si riempie di pensieri così, di lacrime e fiori. In fondo ha ragione il presidente Mattarella: «Valeria era il futuro dell'Europa ed è stata uccisa per questo». Ma lei se potesse parlare, forse saluterebbe tutti con il titolo di un suo studio sulla condizione femminile, un titolo che non lascia spazio a lamenti e recriminazioni: «Allez les filles, au travail».

Forza ragazze, al lavoro.

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