Il supermissile di Putin minaccia l'Occidente "Ora dovrete ascoltarci"

Il presidente russo svela le sue nuove armi: «Non possono essere intercettate dallo scudo»

Il supermissile di Putin minaccia l'Occidente "Ora dovrete ascoltarci"

«Ora ci ascolterete». Vladimir Putin sfrutta l'occasione dell'annuale discorso sullo stato della nazione per inviare un messaggio agli Stati Uniti e ai loro alleati europei. Un messaggio minaccioso come i due nuovi missili supertecnologici di cui il leader russo annuncia l'aggiunta al suo arsenale.

Putin - che tra sedici giorni sarà certamente rieletto presidente in elezioni che non potranno riservare alcuna sorpresa - solletica consapevolmente l'orgoglio nazionale del suo elettorato di riferimento, e in diretta tv a reti unificate sfida quello che la maggioranza dell'opinione pubblica russa non ha mai cessato di considerare il vero nemico della Russia anche dopo il collasso dell'Unione Sovietica: l'Occidente a guida americana.

Il nuovo supermissile balistico Sarmat - ha scandito il presidente russo mentre immagini e grafici si susseguivano su grandi schermi alle sue spalle - «ha una gittata praticamente illimitata, può raggiungere ogni punto del mondo», mentre il nuovo missile da crociera ipersonico «rende inutile lo scudo antimissile americano. Nessuno al mondo ha per ora nulla di simile».

Putin lancia insomma la sfida a Washington, prendendosi consapevolmente il rischio di trascinare la Russia in una nuova corsa agli armamenti. L'ultima volta che Mosca aveva fatto qualcosa di simile dall'altra parte c'era Ronald Reagan: finì con Gorbaciov liquidatore fallimentare di un'Urss fatta a pezzi in una guerra fredda in cui vinsero i dollari, la strapotente economia americana contro un sistema illiberale, ingessato e obsoleto. Oggi dall'altra parte c'è il «presidente per caso» Donald Trump e forse non è un caso che Putin ritenga che sia giunto il momento di alzare la voce ancor più di quanto già non facesse con Barack Obama.

La questione dello scudo antimissile americano è molto sensibile per il Cremlino. Che non ha mai digerito che Washington abbia installato le sue batterie in Polonia e in Romania, due Paesi di quell'Est europeo che da quando si è liberato dalla tutela forzosa di Mosca si è rifugiato sotto l'ala protettiva della Nato. Gli Usa sostengono che le batterie servono a proteggere l'Europa dall'Iran, ma Putin vede in questa mossa e nell'uscita unilaterale degli Usa dal trattato Abm (anti missili balistici) firmato con l'Urss nel 1972 una minaccia ai suoi confini.

Che questa sia la verità o un pretesto per rilanciare una politica estera aggressiva rimane da vedere: certamente in politica interna è interesse prioritario di Putin conservare un forte sostegno popolare, e in una Russia nostalgica del suo status di superpotenza mondiale questo è facile da ottenere rilanciando la grandeur militare.

In verità Putin, una volta agitato il bastone dei missili, non ha mancato di usare la carota dell'offerta del dialogo. «Abbiamo detto diverse volte ai nostri partner che avremmo preso delle misure in risposta al dislocamento dei sistemi antimissili americani - ha detto il presidente russo tra gli applausi - ma la Russia non minaccia e non intende aggredire nessuno» e anzi «auspica una collaborazione equa e paritaria».

Si vedrà. Una cosa è certa: da oggi nei rapporti tra Russia e Occidente qualcosa di importante è cambiato, qualche vecchio equilibrio si è incrinato.

E quando un eccitato Putin ha detto che «qualsiasi uso di armi nucleari contro la Russia o contro i suoi partner, grandi o piccoli, sarà considerato come un attacco nucleare e la nostra risposta sarà istantanea» ci teneva molto a essere preso sul serio: «Questo - ha detto con durezza - non è un bluff». Forse pensava a Obama e alle sue ipotetiche linee rosse in Siria, forse a Trump e alle sue vuote minacce a Kim Jong-un.

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