Roma Ieri mattina due elicotteri sono atterrati sul campo sportivo all'interno dello stabilimento della Fca di Piedimonte San Germano. Sul primo c'era il capo del gruppo automobilistico Sergio Marchionne, sul secondo il premier Matteo Renzi in visita pastorale nello stabilimento ciociaro per partecipare anche alla assemblea pubblica Anfia, l'associazione dei produttori automobilistici. La parata in stile americano ha segnato l'intervento diretto del numero uno del Lingotto nel dibattito referendario con un megaspot.
La premessa, ovviamente, è toccata al presidente del Consiglio che ha rivendicato per sé il merito di aver fatto ripartire l'industria automobilistica. Il ragionamento è stato condito con la solita minaccia di sventure in caso di prevalenza del No («a pagare sarà il ceto medio»). Un impianto sostanzialmente confermato da Marchionne. «È il momento di sostenere il nostro primo ministro», ha detto in inglese interpellato dalla stampa straniera, esprimendo preoccupazione per l'immagine negativa che si riverbererebbe sul nostro Paese in caso di bocciatura della riforma costituzionale. Un ragionamento già espresso da Financial Times e Standard & Poor's ma che in bocca al leader di una delle Big Three dell'auto suona come un presagio di sventura. «L'Italia potrebbe non essere nella posizione più elegante per affrontare questo shock», ha aggiunto.
Poi un cambiamento di registro, facendo proprie le considerazioni di Renzi che, da quando il Sì è in svantaggio, ha cercato di «spersonalizzare» la consultazione. «Sono assolutamente nauseato - ha detto - dei dibattiti e degli insulti. Una cosa pazzesca. Renzi scade nel 2018 e ad allora potremo esprimere il nostro punto di vista. Lo hanno fatto gli americani e possiamo farlo anche noi. La riforma costituzionale è un altro discorso».
Su un punto, però, il top manager si è differenziato dalla vulgata: nessuna tempesta sulle Borse se l'esito fosse negativo. «Come successe in America, passerà anche questo. Il mercato finanziario saprà rispondere e adeguarsi», ha sottolineato ripetendo il mantra del «Paese che non vuole cambiare, che fa fatica a rinnovarsi» e compagnia bella. A un certo punto si è fatto anche fatica a distinguere chi stesse parlando di chi se non fosse stato per l'accento americano del capo di Fiat Chrysler. «Questo non lo dico per me, ma per i giovani che stanno cercando di crearsi un futuro.
Non lo dico per aiutare Renzi, lo dico da italiano che vive e si confronta nel mondo. Pensano che io abbia chissà quale obiettivo», ha concluso Marchionne. Se Fca ormai guarda all'estero, non tutti i Sì come quello di Marchionne sono disinteressati. E un po' di sospetto resta sempre e comunque.
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