
«La Legge Brambilla? È un intervento legislativo molto importante in materia di tutela penale degli animali e rappresenta un passo decisivo verso il riconoscimento dell'animale come oggetto di protezione diretta, pur se ci sono ancora alcune lacune e si nota purtroppo l'ormai consueta impostazione politico-criminale populistica, fatta di continui inasprimenti sanzionatori». Fabio Fasani è professore associato di diritto penale all'Università di Pavia e da anni si occupa della tutela penale degli animali.
Professor Fasani, si può dire che questa legge va verso il riconoscimento dell'animale come oggetto diretto di tutela?
«È l'elemento più positivo di questa riforma. C'è un reale cambio di prospettiva. La famiglia di reati del codice penale che si occupa dei animali ha sempre avuto come oggetto di tutela il sentimento umano nei confronti degli animali, fin da prima del Codice Rocco. Dal 2004 si è iniziato a parlare di un cambio di prospettiva, ma pochi giuristi ritenevano che ci fosse davvero. Questa riforma, invece, cristallizza questo dato, fin dal titolo in cui si parla di reati contro gli animali. È una questione filosofico-giuridica ma ha anche ripercussioni pratiche, è diverso il perimetro dalla tutela».
Cosa cambia davvero rispetto al passato?
«Prima si riteneva che la tutela dovesse riguardare gli animali che suscitano compassione nell'uomo. Ora cambiando la prospettiva, la tutela dovrebbe estendersi a tutti gli animali perché il legislatore non fa distinzioni. Inoltre viene meno la dimensione pubblica o privata di dove si consuma il reato e ci si sgancia dalla variabilità del sentimento popolare del momento. Credo sia la riforma più significativa e positiva fatta in questo campo, approdo di un lungo cammino».
Come si distinguono gli animali oggetto da tutela da quelli che non lo sono?
«Il nostro ordinamento non ha mai formulato una distinzione come accade altrove. Parla di maltrattamento di animali, era così già prima di oggi e sarà così anche domani. E qui si entra in un discorso un po' complicato, quello della possibile estensione eccessiva della fattispecie, fino a ricomprendere animali come la zanzara o lo scarafaggio. In altri Paesi vengono fatte delle scelte lessicali precise (animali di affezione, animali domestici, vertebrati ecc.); nel nostro ci si affida al requisito della necessità, che esclude la penale rilevanza della condotta tutte le volte in cui sussiste un'esigenza umana meritevole di tutela (igiene, salute, repulsione, pericolo per l'incolumità ecc.)».
In che misura la legge è in linea con le tendenze europee e internazionali in tema di protezione degli animali?
«Difficile dirlo. Non essendo un settore di attenzione diretta della Ue non si va verso una uniformazione. Oggi, per fare un esempio, le legislazioni antiterrorismo sono quasi tutte sovrapponibili. Per la tutela degli animali, invece, ci sono gradi di tutela e tradizioni diverse. L'Europa detta dei principi ma fa salve le tradizioni culturali dei singoli paesi. Un esempio? Le corride: una sentenza della corte costituzionale spagnola ha riconosciuto la prevalenza della cultura sui diritti degli animali».
Ci sono fattispecie di maltrattamenti non contemplati nella legge su cui sarebbe necessario intervenire?
«Questa riforma comporta inasprimenti delle pene, ma è orientamento prevalente che questo tipo di interventi non procura l'effetto sperato, essendo sconfessato in letteratura che all'aumento delle pene corrisponda la diminuzione dei reati. L'altro elemento è che la norma si concentra molto sul modello criminologico del maltrattatore di animali, che non rappresenta però la vera emergenza. Sono casi disdicevoli ma limitati.
La vera partita si gioca nelle attività a base lecita (allevamenti, trasporti, circhi, giardini zoologici, spettacoli popolari). Su questo dovrebbe concentrarsi il legislatore modificando le norme extra penali che disciplinano queste attività».