Politica

Il tabù del prelievo solidale agli statali

Dinanzi alla crisi, è bene che quanti hanno il privilegio di disporre di un "posto fisso" non siano esentati dal pagarne le conseguenze.

Dinanzi alla crisi, è bene che quanti hanno il privilegio di disporre di un «posto fisso» non siano esentati dal pagarne le conseguenze. Questa, in soldoni, è la provocazione lanciata su Twitter da un profilo anonimo (@PoliticaPerJedi) dietro al quale potrebbe celarsi un parlamentare. E si tratta di una proposta tutt'altro che irragionevole.

In fondo, sono ormai parecchi mesi che una serie di categorie del privato dal commercio all'industria, dal turismo allo spettacolo, dall'artigianato alle libere professioni stanno pagando un prezzo altissimo. Molti posti di lavoro precari sono già spariti e quando verrà eliminato il blocco di licenziamenti e fallimenti anche molti tra coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato si troveranno a spasso. Il mondo produttivo può resistere, ma c'è bisogno che l'intera pubblica amministrazione costi meno. Per tale ragione è opportuno che anche gli statali sentano sulla loro pelle il prezzo del disastro che ci ha colpito tutti, e di cui soltanto alcuni stanno pagando le conseguenze.

In fondo, quello che Yoda questo è lo pseudonimo adottato dal politico italiano ha chiesto è che il settore pubblico accetti «una modesta trattenuta da redistribuire a chi è rimasto senza un impiego o ha dovuto chiudere la propria azienda». Non siamo di fronte a un cinico liberista o a un sovversivo libertario, ma soltanto a un socialdemocratico non incoerente che si sta interrogando su chi stia pagando il prezzo più alto della crisi e su chi, invece, da queste settimane abbia tratto solo benefici. È d'altro canto assai triste che perfino gli statali meglio retribuiti (dai politici ai magistrati, dagli alti funzionari ai dirigenti delle authorities) non abbiano avanzato per primi, e non coprendosi dietro a uno pseudonimo, tale proposta. Se ormai lo Stato viene giustificato soprattutto e in primo luogo a partire dall'idea corretta o sbagliata che sia che l'azione pubblica sarebbe indispensabile a garantire una società solidale, allora è proprio in simili casi che si deve evidenziare la necessità di distribuire i costi: per poter aiutare quanti vivono sul mercato e devono ogni giorno soddisfare le attese del pubblico.

Chi ha presente quali siano i problemi strutturali dell'Italia è consapevole della necessità di disincentivare le carriere statali; sa anche c'è bisogno di trasferire verso il privato un gran numero di settori oggi gestiti male (basti pensare al fallimento epocale della scuola pubblica); sa che vi è la necessità d'introdurre criteri di controllo, promozione e penalizzazione pure nella funzione pubblica. Ma quanto Yoda ha rilevato nel suo intervento affidato a Twitter è molto meno radicale e in fondo largamente condiviso.

In un'Italia zavorrata da connivenze e parassitismi, perfino quanti hanno ribrezzo per la società capitalistica e credono nell'egualitarismo possono rendersi conto di come sia iniquo un sistema in cui una metà del Paese gode di ogni protezione e non è mai chiamata a rendere conto del proprio operato, mentre l'altra deve ogni giorno affrontare le incertezze di un mondo in evoluzione. In fondo, quello che Yoda ha suggerito è solo un misero contributo di solidarietà: qualcosa che in passato si è imposto senza problemi di sorta ai titolari di pensioni superiori a una certa soglia. L'intenzione è far sì a una solidarietà meramente retorica si sostituisca una un po' più autentica.

Sarebbe già un progresso.

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