È arrivato il momento che la macchina pubblica inizi a rinunciare alle «proprietà» del dato sui tamponi del Coronavirus, e che chieda l'aiuto dei laboratori di analisi privati. In Veneto il governatore Luca Zaia non si è posto il problema da giorni: più tamponi e anche più test anticorpali, per capire se un persona, positiva o meno, abbia contratto il virus.
Le altre Regioni si stanno affacciando ancora in modo timido al mondo dei privati, molte tentennano. Hanno aperto ai laboratori non pubblici Piemonte, Liguria e Sicilia. Il Lombardia non c'è ancora il via libera, come non c'è nel Lazio. Eppure secondo un calcolo del gruppo milanese specializzato in analisi di laboratorio Cerba HealthCare, i più importanti laboratori privati sarebbero in grado di processare circa 5mila tamponi al giorno, che corrisponderebbero al 50 per cento di quelli che vengono esaminati dalle strutture pubbliche (dal 20 marzo i centri abilitati sono diventati 77). In questo momento in cui anche il capo dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli, ammette che esiste un enorme sommerso di persone positive ma non diagnosticate, sembra ormai indispensabile che le amministrazioni trovino il modo per allargare la rete dei laboratori. Una diagnosi precoce può corrispondere a osservazione più attenta, isolamento immediato e riduzione del numero di ricoveri gravi. Dal Lazio arriva la storia di una giovane vittima, Emanuele Renzi, morto a 34 anni, portato in ospedale «troppo tardi», denuncia la famiglia. Storie di lunghe degenze a casa senza diagnosi, con febbre alta e tosse, sono tutt'altro che infrequenti. Più tamponi in questa fase significa anche circoscrivere meglio i focolai familiari e quelli tra gli ospedalieri. «Noi siamo pronti, mettiamo a disposizione sia le strutture che i nostri biologi molecolari», ci spiega Stefano Massaro, amministratore delegato di Cerba HealtCare. «Con Regione Lombardia abbiamo già incrociato i dati su alcuni test per verificare l'affidabilità dei risultati. Ci aspettiamo che a breve si parta a lavorare insieme». «Continuiamo a essere a disposizione sia per fare che per analizzare i tamponi», fa sapere da Roma Mauro Casanatta, direttore dell'Associazione italiana ospedalità privata del Lazio. Il Consiglio Superiore di Sanità per ora annuncia «test più rapidi», ma in assenza di una direttiva centrale, le Regioni continuano ad andare in ordine sparso.
Un altro tema aperto rimane poi quello del test anticorpale sul sangue, che serve per capire se una persona ha contratto il virus e l'ha superato senza saperlo. In questo momento i laboratori privati non possono svolgerlo. Potrebbe essere utile nella fase successiva all'emergenza. In Lombardia si sta tentando di rinforzare l'assistenza domiciliare. «Tra i miei assistiti - racconta Anna Pozzi, segretario della Federazione dei medici di medicina generale di Milano - ci sono una marea di casi sospetti. Il tampone non viene fatto a nessuno a meno che non vada in ospedale.
Abbiamo chiesto unità di medici di continuità assistenziale che lavorino a stretto contatto con medico di famiglia per andare a domicilio equipaggiati». Ci si sta muovendo proprio in questa direzione. Ma i tamponi non possono più essere prerogativa solo di pochi, e pubblici, esaminatori.
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