Economia

Dal tecnostress alle microimprese. Tic e numeri dell'occupazione agile

Nell'era post smart working prevarrà la soluzione mista. Per un terzo dei lavoratori l'impiego da remoto migliora la produttività

Dal tecnostress alle microimprese. Tic e numeri dell'occupazione agile

Da misura emergenziale a occasione da cogliere. Da costrizione dettata dagli eventi a scelta responsabile resa possibile dalla tecnologia. Lo smart working continua a far parlare non solo le grandi tech. Si può adottare in ogni azienda? E in che forma? Rende tutti produttivi e felici? D'ora in poi prevarrà la forma ibrida sia nelle piccole che nelle grandi imprese (89%), oltre che nella pubblica amministrazione (62%).

Vediamo in dettaglio quale futuro intravede l'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Nel corso del 2021 sono diminuiti i lavoratori a distanza: erano 5,37 milioni a marzo, 4,71 milioni a giugno, sono scesi a 4,07 milioni a settembre. Saranno 4,38 milioni dal 2022 in poi, con formule ibride: in media 3 giornate «agili» nelle grandi aziende, 2 nelle pubbliche amministrazioni.

Per oltre un terzo dei lavoratori agili sono migliorati il rapporto fra tempo libero e lavoro e la produttività, ma il 28% ha sofferto di «tecnostress» (il neologismo, in realtà datato 1984, indica lo stress provocato dall'uso eccessivo e distorto delle nuove tecnologie) e il 17% di eccesso di lavoro.

A settembre si contavano complessivamente 1,77 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle piccole e medie imprese, 810mila nelle microimprese e 860mila nelle amministrazioni pubbliche. Progetti di smart working strutturati o informali sono oggi presenti nell'81% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle piccole e medie imprese (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle pubbliche amministrazioni (contro il 23% pre-Covid).

Quasi tutte le organizzazioni, al termine della pandemia, hanno previsto un aumento degli smart worker rispetto ai numeri registrati a settembre: si prevede saranno 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto (+8%), di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle piccole e medie imprese, 970mila nelle microimprese e 680mila nell'amministrazione pubblica.

La modalità di lavoro privilegiata sarà ibrida, alla ricerca di un miglior equilibrio fra lavoro in sede e a distanza: nelle grandi imprese sarà possibile lavorare a distanza mediamente per tre giorni a settimana, due nel pubblico.

La scelta di proseguire con lo smart working è motivata dai benefici riscontrati da lavoratori e aziende. L'equilibrio fra lavoro e vita privata è migliorato per la maggior parte delle imprese. Ma la combinazione di lavoro forzato da remoto e pandemia ha avuto anche conseguenze negative sui lavoratori: è calata dal 12% al 7% la percentuale di quelli pienamente «ingaggiati», il 28% ha sofferto di tecnostress, il 17% di eccesso di lavoro. Secondo un'indagine Istat il 59% degli utenti dei servizi pubblici imputa allo smart working il peggioramento della qualità dei servizi.

Fra i benefici degli incarichi agili vi è sicuramente il ritorno favorevole di chi si prende cura di anziani e disabili (63%). Per chi lavora in media 2,5 giorni a settimana da casa è stato calcolato un risparmi di tempo e risorse per gli spostamenti pari a 123 ore l'anno e 1.450 euro in meno per ogni lavoratore che usa l'automobile.

Guardando alla sostenibilità ambientale, infine, si può stimare che l'applicazione dello smart working ai livelli previsti dopo la pandemia comporterà minori emissioni per circa 1,8 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, pari all'anidride carbonica che potrebbero assorbire 51 milioni di alberi.

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