Oggi tutti pazzi per il proporzionale, 24 anni dopo. Ha ragione il buonsenso di Pino Pisicchio, veterano di Montecitorio, a rilevare la ragione postuma di chi all’epoca «mise in guardia sui rischi del maggioritario». Ma forse non basta ancora, a liberarsi dalle scorie di una stagione politica che tramonta nell’incertezza, tra le grida tumultuose degli esclusi (o di coloro che pensano di esserlo, perché «scoperti» a non rappresentare neppure il 5% degli elettori). Tra chi lavora agli ultimi ritocchi tecnici fondamentali, come il disegno dei collegi per il Senato (si tornerà a quello dell’Italicum), e chi snobba la seduta in Aula all’inizio dell’ultimo miglio.
L’alibi arriva da lontano, dal fatto che sembra «un miracolo » che i quattro partiti maggiori si siano trovati d’accordo «su un testo straordinario», come dice il forzista Sisto. Incredibile a dirsi, forse a farsi: c’è sempre il rischio che qualcuno si sfili per il calcolo di una manciata di voti. Però i Quattro reggono: merito del galoppo sfrenato che la legge elettorale ha preso, e l’impressione generale è che se si fermasse l’andatura, se i cecchini avessero solo il tempo di mirare, tutto cadrebbe in un attimo, «la legge non si farebbe, andremmo al voto con il pessimo Consultellum come vorrebbero quelli che tifano per la rottura», dice il relatore Fiano (Pd). Oppure lo scopo è quello di non votare più a settembre, come sembra volere un livido King George Napolitano, presente anche in quest’occasione, e non per «sterile polemica » come si limita l’azzurro Brunetta.
Gioca il tutto per tutto, il partito del non voto, gli orfani del maggioritario che ha tenuto sulle spine il Paese per 24 anni, in una sterile (quella sì), diatriba tra due poli artificiali e artificiosi. E allora l’ex presidente trova «abnorme che il giuoco e il patto extracostituzionale sulla data del voto sia quasi diventato un corollario dell’accordo». Accusa persino fondata, ma prezzo inevitabile per andare avanti nel Paese bloccato, con Mattarella ormai orientato a concedere il voto per settembre (così da fare in tempo la manovra). Viceversa Napolitano aggiunge che «in questo funambolico passaggio dal francese al tedesco potevano risparmiarci il gran galoppo». E galoppare invece serve. Il resto è sterile polemica di Alfano che parla di «inciucellum», degli esclusi che sproloquiano di «incostituzionalità, instabilità, nominati».
Ma il treno è partito, oggi si comincia a votare sugli oltre 200 emendamenti (voto disgiunto e preferenze, chiesti da M5s, hanno il veto del Pd).
Beppe Grillo mette la foglia di fico alla prima volta di M5s che si sporca le mani: «Ci abbiamo messo la faccia, non potevamo lasciare che Pd e Fi scrivessero le regole del gioco a loro uso e consumo». Pure le preferenze non saranno un problema, «cerchiamo piuttosto di preferire una legge giusta per far votare gli italiani ». Grillo si responsabilizza: magari è un altro miracolo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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