C'è una foto che più di tante parole racconta il dramma di Italo D'Elisa, il ragazzo di 23 anni ucciso da Fabio Di Lello, il marito che voleva vendetta per la moglie uccisa in un incidente stradale. Il ragazzo è a terra, i colpi di pistola lo hanno già raggiunto, il sangue è già tutto intorno, ma con la mano destra stringe ancora il telefonino. Si stava aggrappando alla vita con tutte le sue forze Italo. Eppure il colpo, quello mortale, l'ha già trafitto al collo. Italo parla al cellulare mentre l'altro lo affronta, preme il grilletto quattro volte. Italo cade a terra, rannicchiato e in mano ha ancora quel cellulare che ha raccolto il suo ultimo respiro di vita. Le immagini sono state catturate dalle telecamere di una sala giochi. Il cellulare che il giovane stringe ancora in mano quando Di Lello si allontana ora è sotto sequestro. L'altro telefono cellulare verrà identificato, attraverso l'acquisizione dei tabulati.
La persona con cui Italo parlava ha sentito le parole pronunciate dal killer prima di sparare. Compresa la frase che ha scatenato il delitto. «Ho fatto una fesseria», ha detto poi sulla tomba della moglie Fabio che oggi verrà interrogato. «Procediamo per omicidio volontario premeditato». Il procuratore Giampiero Di Florio non ha ancora consegnato il fascicolo al gip, ma è questa la linea su cui è indirizzata la procura: la volontarietà e la premeditazione con cui Fabio Di Lello avrebbe concepito e realizzato la sua vendetta uccidendo Italo D'Elisa.
Nella cella in cui si trova, oggi Di Lello riceverà solo la visita dei suoi avvocati, per definire la linea. Se sceglieranno il rito abbreviato, con il terzo di pena scontato potrebbe evitare l'ergastolo previsto per un «omicidio volontario premeditato con eventuali aggravanti che dovremo valutare», dice il procuratore. Adesso a parlare restano i genitori. C'è il padre di Roberta, che dice: «Chiedo scusa alla città a nome di Roberta, Fabio è un bravissimo ragazzo, non so cosa gli sia preso. Roberta questo non lo voleva». Eppure da quando era successo l'incidente, il clima d'odio che si era creato era insostenibile. Italo era rimasto solo, lui che quanto avrebbe dato per poter tornare indietro nel tempo, per non incrociare lo scooter sul quale viaggiava Roberta. La ragazza con il sorriso grande che lui aveva spento. Non se lo perdonava Italo e -peggio ancora- non glielo perdonava il paese che si era schierato contro di lui. «Lui che aveva gli incubi», racconta il padre che assisteva alla rovina di questo suo figlio schiacciato dal rimorso e dalla gogna mediatica. Tutti a puntargli il dito. L'onta dell'assassino addosso, lui che aveva la passione per i vigili del fuoco e per il volontariato nella Protezione civile che oggi hanno voluto omaggiare con un cartello «sempre con noi». A lui che di quel sogno resta solo la divisa gialla appoggiata sulla bara bianca nell'obitorio. «Era già morto quando è morta la donna che ha investito», spiega il padre. «Aveva paura a uscire di casa, ammette il padre. Si era chiuso in se stesso, poi un giorno mi ha detto: non ce la faccio più ho bisogno di aria». Il padre che come un sesto senso non lo lasciava mai, lo seguiva.
Gli striscioni gialli «giustizia per Roberta» appesi ovunque per ricordagli che il paese, più celere della giustizia, aveva già emesso la sua sentenza. Ieri mattina, davanti al bar dove è stato ucciso, sono comparsi fiori e lumini; ora gli striscioni si possono anche togliere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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