Roma Se dai tormenti sulla Tav almeno un vincitore potrebbe emergere (il M5s presumibilmente) il Def e, ancora di più, la prossima legge di Bilancio non potrà che danneggiare tutte le forze politiche che la firmeranno. Una sconfitta per M5S e Lega che hanno basato il contratto di governo su politiche di spesa. La tesi circola da qualche giorno, per la precisione da quando è diventato più chiaro il quadro delle finanze pubbliche di quest'anno e, soprattutto, quello del 2020.
La situazione dei conti è insostenibile anche politicamente e sarebbe questo, più degli altri temi sui quali Lega e M5s si dividono, il vero punto di svolta che potrebbe portare alla fine dell'esperimento gialloverde.
Per quanto riguarda il breve periodo, a preoccupare è il Def, documento di economia e finanza che dovrebbe essere presentato il 10 aprile. Termine non perentorio, che potrebbe slittare alla fine del mese quando scatta l'obbligo di invio alla Commissione europea. Comunque prima delle elezioni europee. Per questo le voci delle settimane scorse su un rinvio del Def sono state rimpiazzate da indiscrezioni di diverso tono. In particolare l'ipotesi che il governo presenti solo un Def con il quadro tendenziale, quindi le previsioni macroeconomiche e sulle finanze pubbliche a legislazione invariate. Senza il programmatico, che misura l'effetto delle scelte che saranno fatte con la prossima legge di Bilancio. «Il Def deve contenere obbligatoriamente sia il quadro tendenziale di finanza pubblica, ovvero quello a legislazione vigente, sia il quadro programmatico», ha ricordato ieri Renato Brunetta di Forza Italia.
Altra opzione spuntata nelle ultime ore, un Def con la parte programmatica ridotta all'osso. Con un accenno alle misure che saranno annunciate: dal taglio del cuneo alla flat tax, e un rapido cenno al fatto che sarà tutto coperto con la revisione delle spese fiscali. Formula che nasconde il sempre più probabile aumento dell'Iva selettivo, accompagnato da tagli alle agevolazioni.
Subito dopo il Def, le elezioni e la manovra correttiva, che ormai in pochi escludono. Non più il vicepremier Matteo Salvini. Sicuramente non il ministro dell'Economia Giovanni Tria, che ripone fiducia nei meccanismi di controllo della spesa inseriti nella legge di Bilancio, ma anche consapevole che potrebbero non bastare.
Il problema più che tecnico è di natura politica. Tra poco più di un mese il governo dovrà pianificare le scelte del 2020 e i margini per annunciare nuove misure come Quota 100 o il reddito di cittadinanza sono nulli. Facile in questa situazione cadere nella tentazione di interrompere l'esperienza dell'esecutivo Conte e affidare a un esecutivo di transizione il compito ingrato di fare aumentare l'Iva, per poi affrontare le elezioni senza avere dilapidato tutto il capitale politico accumulato in questo anno di governo.
Ragionamento vero soprattutto per la Lega, che in questi mesi è balzata nei sondaggi grazie all'immigrazione, ma ora sta affrontando il disagio dell'elettorato storico disorientato da scelte come il no alla Tav e più in generale dalla linea statalista del governo.
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