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Il "Ter" è a rischio. Il premier "congela" la crisi e pensa alla sfida in Aula

Giuseppi chiede tempo al Colle in nome del voto sullo scostamento di bilancio. Sa che Italia viva vuole la sua testa e teme il passaggio delle dimissioni: "Renzi va affrontato come Salvini"

Il "Ter" è a rischio. Il premier "congela" la crisi e pensa alla sfida in Aula

Sono passati solo pochi minuti da quando Matteo Renzi ha aperto la crisi ed è già abbastanza chiaro che la strada di un possibile Conte ter si va facendo sempre più stretta. Perché è vero che il leader di Italia viva non usa mai la parola «dimissioni», ma è pure innegabile che l'attacco rivolto ieri a Giuseppe Conte non ha forse precedenti in quanto a durezza. E questo nonostante il premier, solo poche ore prima, avesse tentato di tendere la mano a Renzi dicendosi disponibile a «ritrovarsi intorno a un tavolo» per «un patto di fine legislatura». Un ravvedimento tardivo, almeno per il senatore di Rignano. Che non ha fermato il treno delle dimissioni delle sue due ministre - Teresa Bellanova ed Elena Bonetti - e ha sparato ad alzo zero su un Conte definito «un vulnus delle regole del gioco democratico» e «fuori dalla Costituzione». Renzi non gli ha solo contestato «i pieni poteri», facendo sue le critiche di Sabino Cassese, ma ha pure puntato il dito su un premier «fuori dal quadro internazionale» (per i suoi rapporti con Donald Trump) e che «usa discrezionalmente i servi segreti». Insomma, pur non essendosi spinto a chiedere le dimissioni di Conte e pur non avendo formalmente chiuso ad un suo ter, il giudizio di Renzi su Conte è stato devastante.

Violento al punto che è difficile pensare che il leader di Italia viva si accontenterà di un rimpastino senza una reale discontinuità a Palazzo Chigi. D'altra parte, non è un segreto che questa crisi è figlia anche - o forse soprattutto - dell'astio reciproco, di una insofferenza non solo politica, ma umana e personale. Lo sa bene anche il premier, tanto che ieri - complice anche il pressing di Sergio Mattarella - ha provato a mettere una pezza allo strappo di martedì scorso, quando aveva dato l'aut aut a Renzi. Un accelerazione che il capo dello Stato non ha affatto gradito, perché avrebbe compromesso ancor di più il quadro. «Un atto difensivo», ha provato a giustificarsi Conte. Senza però apparire molto convincente agli occhi dei suoi interlocutori.

La palla, dunque, passa ora al premier. Che, almeno per il momento, non pare intenzionato a dimettersi. Il presidente del Consiglio, infatti, sa bene che aprire quella porta è rischiosissimo, soprattutto se uno dei giocatori al tavolo è Renzi. A quel punto, formalizzate le dimissioni, anche la solidarietà e l'apprezzamento che ieri sera arrivavano da tutti i big di Pd e M5s - a partire da Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio - potrebbero infatti cadere nel dimenticatoio. Aprendo, magari, la strada a un governo con lo stesso perimetro politico ma guidato o da un esponente del Pd (per esempio Dario Franceschini) o del M5s. Così, l'idea di Conte è quella di prendere tempo, forte del fatto che il Parlamento - probabilmente mercoledì - dovrà approvare lo scostamento di bilancio. Che, essendo un voto a maggioranza qualificata, è un atto di straordinaria amministrazione, quindi incompatibile con una crisi formale. Scostamento che dovrebbe avere il via libera in un Consiglio dei ministri ad hoc, probabilmente già oggi. Ragione, questa, per cui Mattarella potrebbe concedere qualche giorno in più al premier.

Un Conte che, in verità, non pare avere ancora le idee chiare. Tanto che ieri sera, per la prima volta da tempo, da Palazzo Chigi non sono filtrate le solite veline e i consueti spin, segno che si stanno ancora valutando le ipotesi sul tavolo. Di certo, ma non poteva essere altrimenti, c'è una profonda irritazione dell'autoproclamato «avvocato del popolo» verso Renzi. Con il quale Conte non vorrebbe aprire alcuna trattativa. La tentazione, dunque, potrebbe essere quella di ripetere lo stesso schema utilizzato un anno e mezzo fa con Matteo Salvini. E sfidare Renzi direttamente in Parlamento, nella speranza di riuscire a strappare in Senato i voti dei cosiddetti «responsabili». Sempre che il Quirinale la consideri una strada davvero praticabile.

Così come il Pd che dovrebbe accettare di fare un governo con qualche «Scilipoti» e con Renzi all'opposizione pronto a bombardarlo.

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