Terrorismo, torna la paura negli stadi

Falso ordigno esplosivo impone l'evacuazione dello stadio di Manchester. Ora si teme per gli Europei

Tony Damascelli

Alle tre meno venti, ora di Manchester, una voce femminile ha invitato i tifosi del Manchester United e del Bournemouth a lasciare la tribuna intitolata a sir Alex Ferguson alla Stretford End del Teatro dei sogni, l'Old Trafford, lo stadio dei diavoli del Manchester United. Un inserviente aveva trovato nella toilette, sotto la terrazza, un telefono cellulare collegato a un tubo del gas. È scattato il codice rosso, allarme terrorismo, l'Inghilterra non dimentica le bombe, i morti di Francia, i kalashnikov che uccidono dovunque, chiunque, la nuova maledetta era, cosiddetta civile. Lo stadio è stato poi evacuato, la partita annullata (sarà giocata forse domani ma non all'Old Trafford, il Manchester sarà impegnato sabato nella finale di coppa contro il Crystal Palace), nessuna scena di panico, nessuna invasione, pacifica, di campo come era accaduto allo Stade de France, la notte del Bataclan, i tifosi hanno lasciato l'Old Trafford, in ordine, scaricando la loro delusione e, assieme, la loro rabbia contro Jihadi John, il terrorista omicida che è diventato il simbolo della morte: «Jihadi John, we don't give a fuck, we're gonna win the FA Cup» (Jihadi John, non ce ne frega un c..., noi vinceremo la Coppa d'Inghilterra), così cantava la ciurma di Manchester, il terrore verrà sconfitto dal gol e dalla coppa di Wembley.

Il football ha paura ma finge di resistere, di reagire, di scacciare la nuvola nera, deve comportarsi come se nulla sia accaduto e possa accadere. Non si arrende al terrore, non può. Tra un mese la Francia ospiterà il campionato europeo, ventiquattro Paesi a giocarsi il titolo continentale, ventiquattro bersagli facili per chi volesse giocarsi la vita propria e altrui. Parigi val bene una messa ma anche una bomba per chi ha capito come lo stadio rappresenti il luogo ideale non soltanto di raduno ma di «comunicazione», l'evento nell'evento. Due giorni orsono i gaglioffi dell'Isis si sono presentati a Bagdad portando la morte in un ritrovo dei tifosi del Real Madrid, il club che ha una croce nel suo stemma ma che è stato costretto a modificare il simbolo nel mercato di religione musulmana. Morti come altre, così è sembrato per alcuni mezzi di informazione. Morte diversa, perché stavolta c'è di mezzo l'appartenenza a una tifoseria, non a una religione, le tribune di uno stadio sono chiese sconsacrate di infedeli dove si può portare il terrore. Il popolo dell'Old Trafford se ne è andato radunandosi altrove, lontano dal luogo evacuato e improvvisamente silenzioso.

L'ordigno ritrovato nella toilette, lo ha chiarito in seguito la polizia, era «un falso incredibilmente realistico», ma è stato fatto esplodere sotto controllo, mentre i calciatori delle due squadre stavano ancora negli spogliatoi. La polizia ha fatto il lavoro con discrezione ma risulta strano che, nonostante le misure di sicurezza severissime come mai in cento anni (Graeme Souness, lo scozzese ex Liverpool e oggi opinionista di Sky Sport, ha detto di essere stato «palpeggiato» all'ingresso della tribuna stampa dagli addetti della security) qualcuno abbia potuto collocare quel telefono collegandolo con un tubo alla bombola del gas sfuggendo alle telecamere, mille, all'interno dello stadio. La polizia sta controllando ogni fotogramma. Resta il mistero. Forse il terrorismo non c'entra. Forse è il gesto di un idiota. Forse è il colpo bastardo dei bookmakers capaci di tutto, anche di far cancellare una partita per sbancare le quote. Resta però l'angoscia, resta il senso smarrito di quello che potrebbe accadere in Francia, tra meno di un mese.

L'Italia di Conte debutterà il tredici di giugno a Lione contro il Belgio, dunque la nazionale di un Paese che ha ribadito lacune clamorose nei controlli, un Paese aperto a tutti e a rischio per eventuali vendette. Il telefono di Manchester potrebbe essere stato soltanto uno scherzo idiota. L'idiota forse sta ridendo. Ma l'idiozia è un pericolo peggiore del terrorismo. Non puoi combatterla.

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