Terroristi di padre in figlio "La guerra santa ti purificherà"

Arrestato un egiziano già combattente per Al Qaida Ricercato il ragazzo, spinto alla jihad. Espulsa la moglie

Terroristi di padre in figlio "La guerra santa ti purificherà"

Milano - Sayed Ahmed ha combattuto come mujaheddin in Bosnia, nelle file di Al Qaida, entrambi i suoi figli maschi sono nati lì. Il maggiore, Saged, è il suo orgoglio da quando nel giugno 2014 è partito per la Siria e ha imbracciato le armi per un gruppo jihadista. Mentre il secondo per lui è «un cane», perché vive all'occidentale e ama una donna italiana.

Ieri la Digos di Milano e quella di Como hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Milano per Sayed e Saged. Il primo, nato al Cairo 51 anni fa, è stato arrestato nella sua casa di Fenegrò, nel Comasco. Il figlio 23enne è latitante, si troverebbe ancora a Idlib. Dove si è arruolato nella brigata jihadista Nour El Din Al Zenky, vicina ad Al Qaida e antagonista all'Isis. Padre e figlio sono accusati di terrorismo internazionale. Halima invece, moglie e madre dei due indagati, è stata rimpatriata in Marocco per motivi di sicurezza pubblica. È stato Sayed a inviare il primogenito al fronte. Perché in Italia conduceva una vita dissoluta: «La mia intenzione era che lui andasse là per purificarsi, per diventare un essere umano», dice intercettato il saldatore. Quando il ragazzo viene estromesso dalla brigata a causa delle simpatie pro Isis, è sempre il padre a intercedere e a farlo riammettere. Gli manda anche denaro, almeno 200 euro al mese. La moglie non è sempre d'accordo: «Sarebbe stato meglio che si fosse perso qui, invece di andare là a uccidere dei musulmani», protesta. Lo stesso Saged che a un certo punto viene gravemente ferito e manda una foto dal letto di ospedale alla famiglia vacilla e vorrebbe tornare. Ma il padre-mentore si oppone: lo spinge a combattere ancora. Se morisse da martire, sarebbe un vanto per la famiglia. E comunque, spiega il 51enne a un parente, al rientro in Italia rischierebbe una condanna a 15 anni di carcere.

Saged posta continuamente su Facebook foto e video inneggianti alla jihad. Suo padre sa bene di essere controllato dalla Digos, quindi va in Questura e dice di temere per il figlio, di non sapere più che fare. Ma per gli inquirenti è tutto falso. «Sono stato costretto a fare questo filmato (sceneggiata, ndr) - confessa infatti a un amico -, per salvarmi la schiena». Sayed, sottolinea il capo del pool anti terrorismo della Procura Alberto Nobili, «ha tentato di convincere a partire anche il figlio minore, di 22 anni, ma non c'è stato niente da fare. Era la pecora nera della famiglia. Il ragazzo non era interessato alla guerra e veniva denigrato dal padre perché viveva all'occidentale. I genitori lo consideravano un fallimento». Ahmed incalzava il secondogenito: «Tu vivi nel peccato. Basta che stai vivendo con una sporca italiana». Invece della scelta del figlio maggiore diceva: «Vale più di cento volte una preghiera». Sayed racconta infine alla Digos che il giovane foreign fighter è stato usato come interprete tra un ostaggio italiano e i suoi rapitori, i miliziani di Assad.

Nell'ordinanza del gip Carlo Ottone De Marchi si legge che l'ostaggio è Fabrizio Pozzobon, ex consigliere leghista di Castelfranco Veneto. Di lui non si sa nulla da quando è partito per la Turchia nel 2016. Pozzobon voleva «arruolarsi nelle truppe jihadiste ribelli al regime di Assad», ma sarebbe stato imprigionato.

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