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Il Tesoro sceglie il silenzio sui debiti di papà Renzi

Si allontana l'ipotesi di recuperare dei 263mila euro di soldi pubblici erogati alla Chil

Il Tesoro sceglie il silenzio sui debiti di papà Renzi

Gentilezza, formalismo e poi un bel «non rientra nelle prerogative del ministero». Sia il Tesoro che lo Sviluppo economico escludono un diretto coinvolgimento nel fallimento della Chil srl che un tempo faceva capo a Tiziano Renzi, papà del presidente del Consiglio. Eppure il Fondo centrale di garanzia, che formalmente dipende dal dicastero di via Veneto (anche se a tenere i cordoni della borsa è via XX Settembre), ha rimborsato per 236mila euro Fidi Toscana, la finanziaria della Regione, che a sua volta aveva restituito, in quanto garante, la parte rimanente del prestito (263mila euro) erogato a Chil dalla Bcc di Pontassieve.

Non si tratta di uno scarico di responsabilità, assolutamente. Per sapere se si cercherà di recuperare quei 263mila euro che appartengono a tutti i cittadini italiani bisogna rivolgersi altrove perché il Fondo centrale di garanzia è gestito da Banca del Mezzogiorno-Mcc, l'istituto del gruppo Poste Italiane che si occupa di finanziamenti a medio e lungo termine. Ma nell'azienda di Piazza San Silvestro (controllata al 100% dal Tesoro) tutte le energie sono concentrate sulla prossima quotazione in Borsa e risalire a quella pratica in poco tempo non è semplice. Sull'integrità di Poste ci si può scommettere. Anche se porsi una domanda è lecito: conviene a una spa al 100% del ministero dell'Economia mettersi, sia pure indirettamente, contro il suo primo azionista, cioè il premier?

La risposta l'ha data, a suo modo, la Procura di Genova aprendo l'indagine sul fallimento di Chil srl, ceduta da Tiziano Renzi all'imprenditore genovese Gian Franco Massone già gravata di quel mutuo concesso dalla Bcc di Pontassieve e garantito dalla Fidi Toscana. La risposta l'ha data il governatore toscano Enrico Rossi revocando quell'agevolazione, concessa sotto forma di garanzia, dietro le insistenze del capogruppo di Fdi Giovanni Donzelli. La Regione si insinuerà allo stato passivo della società genovese chiedendo 34.951 euro, ovvero la parte mancante rispetto al rimborso ministeriale più una sanzione.

Quella garanzia era stata concessa nel 2009 perché si trattava di un'azienda toscana guidata da imprenditrici (la madre e una sorella di Renzi ne avevano il 100%, ndr ). Di qui la copertura estesa fino all'80% del mutuo rispetto al 60% generalmente concesso. Eppure sul contratto di finanziamento della Bcc di Pontassieve compare la firma di Tiziano Renzi come responsabile e non quella della consorte. Finanziamento peraltro concesso dal dirigente Marco Lotti, padre di Luca, braccio destro di Matteo Renzi. La cessione di Chil a Massone non fu peraltro comunicata alla Regione Toscana che avrebbe dovuto annullare la garanzia. La lettera di notifica fu ritrovata solo nel 2013 quando il fallimento era già avvenuto.

La Procura di Genova aveva iscritto nel registro degli indagati per bancarotta anche Tiziano Renzi poiché prima della cessione di Chil avvenne una scissione di ramo d'azienda con la cessione per poco più di 3mila euro a Laura Bovoli, madre di Renzi, della parte più redditizia dell'azienda che si occupava e si occupa di marketing, distribuzione editoriale e promozioni varie. Eventi 6,srl, questo il nuovo nome della good company , nel 2011 fatturò ben 4 milioni di euro.

Quello della Procura di Genova era un atto dovuto, considerato che le precedenti attività di Gian Franco Massone non avevano avuto miglior esito di quello di Chil. Il gip di Genova a breve dovrebbe pronunciarsi. Ma sulla vicenda, visto il silenzio romano, resta sempre il sospetto di un conflitto di interessi.

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