
Un Nobel è morto, un Nobel è arrivato. Uno, Dario Fo, aveva ricevuto il Nobel nel 1997. L'altro, Bob Dylan, l'ha avuto ieri. Due irregolari della categoria «Letteratura», premiati dall'Accademia svedese, tanto rigida e ingessata da avere ormai elevato la volontà di stupire a criterio d'azione. E così, ieri, i due Nobel outsider sono stati uniti da una coincidenza di data e di circostanza: una coincidenza ancora più forte visto che il Nobel, in teoria, avrebbe dovuto essere consegnato giovedì della settimana scorsa; ma poi la cerimonia è stata fatta slittare, come se il destino avesse voluto che Bob Dylan, il Nobel cantautore, dovesse vincere proprio ieri, nel giorno in cui moriva Dario Fo, il Nobel teatrante.
Non è un insulto, dire che si tratta di due riconoscimenti irregolari. La stessa Accademia lo ha ammesso, quando ha spiegato così il premio a Fo, nel 1997: «Seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». Più che letteratura, attività di teatro, anzi, di «giullare medievale». E ieri, sempre per spiegare una decisione che avrebbe suscitato discussioni, i giurati hanno motivato così: «Ha creato una nuova poetica espressiva all'interno della grande tradizione canora americana». Tradizione canora, quindi.
Ma le coincidenze erano già, si può dire, nel passato: perché la prima candidatura ufficiale di Dylan al Nobel fu proposta già nel 1996, vent'anni fa. E l'anno successivo, nel 1997, il nome di Dylan circolava come uno dei favoriti. Tanto che, prima che gli comunicassero di avere vinto il premio, lo stesso Fo aveva confessato di fare il tifo per l'americano: «Sarei proprio contento se fosse lui a vincere» aveva detto. Aggiungendo (poco, in prospettiva) profeticamente: «Purtroppo temo che non avverrà, perché da sempre vige la regola che quando si fanno previsioni queste non si avverano». E invece. Si avverano a volte, nei modi e nei tempi più imprevedibili. Diciannove anni dopo il premio vinto da Fo, che avrebbe voluto vincesse Bob Dylan, Dylan ha vinto il Nobel, nel giorno in cui Fo aveva appena smesso di vivere, e quindi non se ne è nemmeno accorto, non ha potuto neanche apprezzare l'errore di previsione. Il re è morto, viva il re, dicevano a corte, per dire che il passaggio è parte della natura, anche politica, delle cose, e la storia va avanti, il trono pure, e un regno è molto più importante del destino del singolo. Vivo o morto che sia. Così la staffetta del Nobel per la letteratura che non si sa se sia letteratura è passato a un testimone nuovo, e altrettanto irregolare del titolare precedente. Già nel 2004 il Nobel stava per essere assegnato a Dylan, ma i giurati litigarono e, alla fine, vinse l'austriaca Elfriede Jelinek.
Suscitando l'«altro» dibattito classico: ma è giusto un Nobel a un autore semi sconosciuto ai più? E si potrebbe aggiungere, a questo punto: meglio un Nobel per la letteratura a chi non ha mai scritto un romanzo, o a uno che li ha scritti, anche se ben pochi li hanno letti? Ma il Nobel, hanno deciso in Svezia, deve stupire, anche nelle coincidenze.