di Stefano Zurlo
La giustizia ha ucciso il giustizialismo. E ora, per fortuna, siamo ai titoli di coda di una vicenda terribile: il rogo della Thyssen, con la morte atroce di 7 operai ustionati. Le pene sono definitive, il caso è chiuso. Ma adesso che questa storia esce dalla cronaca possiamo dire che è andata bene e che ancora una volta si è rischiato il cortocircuito fra i giornali e le aule del tribunale: partenze fra squilli di tromba e poi processi incartati e zoppicanti, fino al traguardo di sentenze dal fiato corto. È già successo nel nostro malandato Paese, c'era il timore che questo sciagurato copione si riproponesse anche a Torino. Il pm Raffaele Guariniello, il dominus dell'inchiesta, era partito infatti a razzo contestando all'amministratore delegato dell'azienda, nientemeno, l' omicidio volontario. Come si fa con il rapinatore che spara in fronte alla vittima. Qualcosa non quadrava anche se Guariniello, oggi in pensione, è un uomo preparatissimo ed enciclopedico, un superpm. Ecco, la nostra ansimante giustizia non ha bisogno di supereroi con la kryptonite, e nemmeno di capi d'accusa strabilianti o pene esemplari. Ci basta una solida e rassicurante normalità. La routine se non fosse parola consunta e votata ala tristezza. Sappiamo: Guariniello aveva utilizzato il grimaldello, scivolosissimo, del dolo eventuale: la porta si era aperta fra standing ovation. In primo grado l'amministratore delegato era stato condannato a 16 anni e mezzo, una pena che alle nostre latitudini si affibbia agli assassini beccati col coltello fra le mani. Poi altri giudici hanno ridimensionato il reato, l' omicidio è rientrato nei parametri consueti, meno adatti alle prime pagine dei quotidiani ma forse più aderenti alla realtà. Per fortuna un accenno di navetta e di pendolarismo fra le diverse corti si è concluso in tempi accettabili e ora, senza retorica, possiamo dire che giustizia è fatta. Nessuno vuole dare a magistrati esperti consigli non richiesti, ma un pizzico di buonsenso basta per certificare che il troppo, per quanto spalmato in TV e sui siti, ammazza la giustizia e mortifica i cittadini.
A Casale Monferrato l'altisonante reato di disastro ambientale doloso ha illuso una comunità intera, nella convinzione che si potesse arrivare chissà dove. Salvo poi scoprire in Cassazione che il processo per le morti da amianto era prescritto ancora prima di cominciare.Sarà bene prendere nota: la sentenza non è, e non dev'essere, il Giudizio Universale.
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