Tifo, droga e omertà: così la malavita dà scacco alle società

L'Inter e la Nord, lo scontro tra i leader dei Boys, il Napoli e "Genny a' carogna"

Tifo, droga e omertà: così la malavita dà scacco alle società

Torino, certo. Ma anche Milano, Roma, Napoli. Se l'indagine dei pm torinesi apre uno squarcio impressionante sulla penetrazione malavitosa nel tifo organizzato della Juventus, incrociando i nomi che vi compaiono con altre inchieste di questi anni si ha una conferma esplicita: a essere malato è l'intero sistema del tifo, una metastasi ha permesso che tutte le curve più importanti degli stadi italiani diventassero terreno di conquista per la criminalità organizzata. Le bandiere, le rivalità di campanile non contano più: in nome del denaro e degli affari sporchi si alleano clan che sono emanazione diretta di ambienti mafiosi, 'ndranghetisti e camorristi. Incontri al vertice per spartirsi curve e business si tengono con regolarità.

Uno dei segnali più espliciti di questi affari trasversali è la gigantesca coreografia che a San Siro, alla prima di campionato, la curva dell'Inter dedica a «Diabolik», ovvero Fabrizio Piscitelli, capo ultrà della Lazio e narcotrafficante, ucciso in un regolamento di conti. A unire Piscitelli alla curva interista è anche la fede politica: fascista lui, fascisti tutti i capi-ultrà dell'Inter. Di estrema destra, d'altronde, sono ormai buona parte delle curve. Ma l'ideologia alla fine c'entra poco, il vero collante sono gli affari sporchi.

Tifo e droga sono le due passioni, per fare un esempio, anche di Enzo Anghinelli, il milanista che il 12 aprile, in via Cadore, viene affiancato da due in moto: gli sparano in testa, ma sopravvive anche se con un pezzo di cervello in meno. Aveva cercato di sbarcare nella Curva Sud del Meazza, ma lì c'è gente più esperta e più potente di lui: vecchi come il «Barone» Giancarlo Cappelli o Giancarlo «Sandokan» Lombardi, o giovani rampanti come Luca Lucci, legato strettamente a narcos e altri criminali milanesi. Qualche anno fa lo arrestarono per avere fatto esplodere un occhio con un cazzotto a un interista: lui se la cavò con una condanna mite, l'interista di lì a poco si suicidò.

Di episodi di sudditanza delle squadre ai voleri delle curve sono piene le cronache. Piccoli segnali: l'Inter sceglie sempre di giocare il secondo tempo sotto la Nord, in segno di omaggio agli ultrà. Il Napoli manda il suo capitano Hamsik a omaggiare Gennaro De Tommaso detto «Genny a' Carogna», poi arrestato per traffico di stupefacenti. Il patto è sempre lo stesso: i capi del tifo organizzato incassano biglietti e favori, in cambio garantiscono l'ordine dentro lo stadio. Se la società si tira indietro, partono cori razzisti che hanno l'unico scopo di fare squalificare il campo. Il problema è che il concetto di «ordine» dei capicurva comprende anche la libertà di spacciare droga, di fare estorsioni, di picchiare i dissenzienti.

In curva vige anche la legge dell'omertà, e i dissidi interni si lavano in famiglia. Ieri mattina sul Corriere della sera si racconta che due vecchi volti della curva dell'Inter si sono affrontati dopo il match con l'Udinese a colpi di cazzotti: uno è Vittorio Baiocchi, fondatore dei Boys, uscito dal carcere dopo una condanna a trent'anni per reati di criminalità comune, l'altro è Franco Caravita, altro veterano dei Boys. A prenderle, sul momento, è soprattutto Caravita, ma poco dopo Baiocchi collassa e lo devono portare in ospedale. E lì, ieri pomeriggio, cosa accade? Che Caravita lo va a trovare e si fa fotografare sorridente insieme a lui, come se fossero i migliori amici del mondo.

Un altro che potrebbe raccontare alcune cose, se lo volesse, è Enzo Anghinelli, il sopravvissuto di via Cadore: si dice che

poco tempo prima di venire preso a revolverate fosse stato buttato a calci fuori dalla Curva Sud. Ma uno che (per la seconda volta, tra l'altro) sopravvive ad un agguato mortale forse non ha voglia di ripetere l'esperienza.

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