Timbrava in mutande, vigile assolto

Per il gup ha utilizzato il "tempo tuta": timbrava e poi si vestiva per fare il custode

Timbrava in mutande, vigile assolto

Timbrare in mutande si può. A oltre tre anni dall'inchiesta che lo ha fatto diventare famoso come «furbetto del cartellino», il vigile urbano di Sanremo Alberto Muraglia è stato assolto, e insieme a lui gli altri nove imputati che avevano scelto il rito abbreviato.

L'immagine di Muraglia in t-shirt, pancia prominente e mutande alla Fantozzi, che scende le scale e va all'orologio segnatempo, accompagnerà il vigile ancora a lungo. Ma il licenziamento in tronco deciso nei suoi confronti dal Comune, e impugnato da Muraglia davanti al tribunale del lavoro, ora potrebbe essere annullato. L'uomo, che nel frattempo aveva dovuto reinventarsi una vita come artigiano aggiustatutto, torna a sperare di indossare la divisa. E insieme a lui possono puntare al reintegro gli altri licenziati e ora assolti «perché il fatto non sussiste» dal giudice preliminare Paolo Luppi. Anzi, uno nel frattempo c'è già riuscito: l'ex capo dell'ufficio notifiche, anche lui cacciato dopo l'arresto, è tornato in servizio perché sulla lettera di licenziamento mancava una firma.

Impiegati che andavano in canoa, altri al mercato, altri ancora a trovare gli amici: era un campionario di disinvolture, quello portato alla luce dall'indagine della Procura di Imperia sugli allegri dipendenti del Comune del festival. Prassi più o meno diffuse anche altrove, più o meno tollerate, ma che a Sanremo sembravano aver assunto dimensioni patologiche. Trentacinque impiegati erano finiti agli arresti domiciliari, ma le notizie parlavano di 196 indagati complessivi: oltre il settanta per cento dei 271 impiegati totali del Comune. Un record assoluto.

Strada facendo, la posizione di molti indagati a piede libero è stata archiviata o lasciata in sospeso, mentre per tutti i trentacinque arrestati la Procura, nell'agosto 2017, aveva chiesto il rinvio a giudizio per truffa aggravata ai danni dello Stato. E il pm Maria Paola Marrali appariva sicura del fatto suo, anche perché un folto numero di imputati aveva deciso di limitare i danni e patteggiare la pena.

Invece ieri arriva la sentenza che ribalta molte certezze. Cosa è cambiato? La tesi difensiva del vigile Muraglia è nota: il suo incarico era di vigilare e custodire un mercato comunale, ed in quello stesso stabile aveva l'alloggio di servizio. Il comandante della polizia locale ha spiegato chiaramente che il custode doveva timbrare dopo aver aperto il mercato e guardato che non ci fossero auto parcheggiate male che ostruissero l'ingresso. E poteva farlo in abiti borghesi. Timbrava nella timbratrice del mercato, a pochi metri dalla porta di casa, poi rientrava in alloggio per indossare la divisa. «Era - ha spiegato il legale - il cosiddetto tempo tuta».

Tutta Italia invece si era convinta che dopo avere timbrato il vigile si tornasse a infilare sotto le lenzuola, invece era solo di fretta. In realtà, nelle carte del processo c'erano anche altri elementi a carico di Muraglia, e così pure degli altri nove assolti ieri dopo essere stati additati al pubblico ludibrio: come Loretta Marchi, direttrice di museo, per cui la Procura aveva chiesto dieci mesi di carcere. Per capire come il giudice sia arrivato a convincersi che non sia stato commesso alcun reato, bisognerà attendere le motivazioni della sentenza.

Di certo tra pm e giudice c'è stata una diversità di valutazioni che, secondo l'avvocato Moroni, è figlia anche di un ambiente più sereno: «L'indagine è stata fatta in un clima mediatico che ha reso difficile spiegare le cose accadute».

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