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Toghe in guerra, annullate quattro supernomine

Accolti tutti i ricorsi di un candidato alla Cassazione bocciato dal Csm

Toghe in guerra, annullate quattro supernomine

Da solo ha sbaragliato il Csm e ha messo in crisi la Cassazione. L'ennesimo capitolo della guerra per le nomine ai piani alti della magistratura viene scritto dal Consiglio di Stato: la sentenza appena emessa premia a sorpresa in modo dirompente un magistrato che era stato bocciato dal Csm. Ora ecco la rivincita, anzi un poker di vittorie senza precedenti in un mondo che pure presenta un tasso di litigiosità altissimo: infatti il candidato silurato, un'autorevole toga in servizio alla Procura generale della Suprema corte, aveva corso per la presidenza di quattro diverse sezioni civili della Cassazione. E quattro volte il Csm gli aveva preferito altri colleghi; ora il verdetto ribalta in modo plateale quella scelta: i giudici amministrativi accolgono tutti e quattro i ricorsi e dichiarano illegittime le nomine dei quattro presidenti di sezione della Cassazione.

È un terremoto quello che si abbatte sul Palazzaccio perché i quattro si erano insediati da più di un anno e ora le loro pesanti poltrone traballano paurosamente. Ma il vero bersaglio del provvedimento è naturalmente il Consiglio superiore della magistratura che viene sconfessato su tutta la linea.

Il Giornale aveva raccontato nelle scorse settimane il malessere sempre più palpabile che si respira dentro la corporazione togata: le scalate agli incarichi più prestigiosi sembrano costruite, da quando è stato abbandonato il criterio sicuro dell'anzianità, con logiche incomprensibili. Anzi, più di una toga ha parlato senza mezzi termini di spartizioni e scambi di favori fra le diverse correnti della magistratura italiana. Insomma, almeno da questo lato i giudici sarebbero una casta, esattamente come i politici che si trovano a giudicare. Nel solo 2017, come svelato dal Giornale, sono stati presentati 65 ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, con epicentro imbarazzante alla corte d'appello di Milano, dove la conflittualità ha raggiunto livelli insostenibili.

Ora ecco quest'altra mazzata: il magistrato oggi ripescato aveva maturato una permanenza nelle funzioni di legittimità, com'è appunto la cassazione, di ben 13 anni, nettamente superiore ai quattro sfidanti. Ma il Csm, per nulla impressionato dal suo straordinario curriculum, dalla mole delle pubblicazioni e dei plausi ricevuti nel corso di una splendida carriera, gli aveva chiuso tutte e quattro le strade, piazzando sul suo percorso un ostacolo sofisticato e apparentemente insormontabile: gli altri concorrenti erano stati membri per un certo periodo delle Sezioni unite della cassazione, lui alle Sezioni unite c'era stato ma solo come rappresentante dell'accusa. Game over. Ma per il Consiglio di Stato questa sottile discriminazione, codificata all'articolo 21, lettera b, del testo unico sulla dirigenza giudiziaria, non sta in piedi e anzi la fa a pezzi con parole definitive. Insomma, la sentenza non solo riabilita lo sconfitto e mette a soqquadro la geografia del potere giudiziario, ma rompe la bussola che il Csm aveva seguito nella propria marcia.

Le ultime pagine sono, sia pure con i toni felpati e tecnici di questi verdetti, una sorta di standing ovation per il neovincitore le cui argomentazioni «appaiono fondate anche in relazione al parametro del merito». Tocca ora al Csm spalare le macerie e trovare un sistema di selezione più credibile.

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