Toghe in guerra tra loro: Tar sommerso dai ricorsi

Impera la lottizzazione: impugnate le nomine del Csm. Record a Milano: è tutti contro tutti

Toghe in guerra tra loro: Tar sommerso dai ricorsi

Sessantacinque ricorsi solo nel 2017. Magistrati contro magistrati. Toghe deluse: speravano di ottenere un incarico importante ma hanno trovato la strada sbarrata dal Csm. Cosi, nel ginepraio della giustizia italiana, si sono rivolti all'immancabile e onnipresente Tar. Il tribunale amministrativo del Lazio è sommerso dai dossier dei giudici che sono stati silurati dal Consiglio superiore della magistratura.

Una guerra senza requie che raggiunge vette imbarazzanti a Milano. Con una situazione quasi incredibile alla corte d'appello civile, una delle più importanti d'Italia. Nell'ultimo anno, qui ci sono state sette nomine e la risposta non si è fatta attendere: undici magistrati hanno dichiarato guerra al Csm.

Nei lunghi corridoi che ricordano i quadri di De Chirico, qualcuno scherzando, ma no troppo, riassume cosi il quadretto: «Sembra di essere a Stalingrado. Si combatte ufficio per ufficio, stanza per stanza». Magistrati che si ritrovano in camera di consiglio per prendere provvedimenti delicatissimi, sono divisi poi davanti al solito Tar perché il Csm ha scontentato tutti quanti.

Per essere precisi, gli undici aspiravano a quelli che in gergo si chiamano incarichi semidirettivi: in sostanza la presidenza di una sezione della corte o del tribunale di Milano. Ma le loro aspettative sono state deluse. Il problema è che nel passato la bussola della progressione in carriera era l'anzianità senza demerito. Chi puntava ad una certa poltrona doveva solo pazientare: sapeva infatti di avere discrete chances di coronare i propri sogni, in assenza naturalmente di passi falsi nella professione. Oggi questi parametri sono saltati; a parole il Csm premia le toghe più preparate e brillanti, anche se sono più giovani rispetto a quelle concorrenti. Ma, secondo i critici, Palazzo dei Marescialli più che stabilire banalmente chi sia il più bravo, o almeno il più adatto per quell'incarico, segue altre logiche. Mario Serio, ordinario di diritto privato comparato all'università di Palermo ed ex componente del Csm, ha denunciato la lottizzazione imperante. E sulla stessa lunghezza d'onda si è sintonizzato Andrea Mirenda, ex presidente della prima sezione civile del tribunale di Verona che parla senza spagnolismi di un sistema «improntato al carrierismo sfrenato, arbitrario e lottizzatorio, che premia i sodali, asserve i magistrati alle correnti, umilia la stragrande maggioranza degli esclusi».

Mirenda aveva corso per la presidenza del tribunale di Udine, ma dopo essere stato bocciato ha preferito lasciare pure la guida della sezione, togliendo il disturbo in coerenza con le proprie idee.

Un'eccezione, in un clima di interminabile regolamento dei conti. Sempre a Milano, sempre in corte d'appello, si è battuto un nuovo record: è stato presentato un ricorso non contro una nomina stabilita a Roma ma addirittura contro un provvedimento interno firmato dal presidente della corte Marina Tavassi. Tavassi si è trovata in difficoltà al momento di riempire il vertice della quinta sezione civile, quella che si occupa di famiglia, minori e protezione internazionale.

Per quella casella servirebbe un profilo particolare, con competenze a cavallo fra penale e civile, ma alla fine, dopo un risiko di spostamenti, richieste e dinieghi, perché più d'uno fra gli interpellati non voleva andare propria là, si è fatta una scelta che ha moltiplicato il malcontento. Con il risultato di un ricorso senza precedenti nella pur travagliata storia della magistratura italiana.

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