«Sostituito? Più lo dicono e più vale il contrario». Era appena novembre scorso quando Danilo Toninelli scacciava i fantasmi e rassicurava tutti (incluso il suo fan numero uno, Maurizio Crozza) sulla sua permanenza al governo. Eppure, a nemmeno un anno dalla nascita dell'esecutivo gialloverde, la poltrona da ministro delle Infrastrutture torna a farsi scivolosa. L'occasione: due mozioni di sfiducia individuali depositate ieri dal Pd, per mano del capogruppo al Senato Andrea Marcucci, e da Forza Italia con Lucio Malan.
La manovra anti Toninelli raccoglie anche l'adesione di Fratelli d'Italia che ieri si è unita alla richiesta di calendarizzarne la discussione con urgenza. Nel testo, Forza Italia ha citato le varie disavventure del ministro, dal tunnel del Brennero al ponte Morandi, ma il cuore dell'attacco è la gestione del caso Tav. E su questo stesso punto, il Pd ha accusato il fedelissimo di Di Maio di aver tradito la fiducia delle Camere: «Dall'evoluzione della vicenda Torino-Lione - recita il testo - emerge che il ministro avrebbe spudoratamente mentito al Parlamento e al Paese nonché al governo francese e all'Unione europea sottoponendo all'attenzione di tutti una analisi costi/benefici palesemente infondata e ora oggetto di aggiustamenti da parte del presidente del Consiglio». Il riferimento è alle «correzioni» apportate da Conte nel disperato tentativo di trovare un punto di mediazione tra le istanze della Lega e quelle dell'ala grillina ostinatamente No Tav.
L'opposizione annusa il sangue, con la possibilità di colpire un anello debole del governo, visto che al Senato Toninelli vanta qualche nemico anche tra le fila pentastellate meno obbedienti ai diktat dell'ala governista. Tra i ribelli ieri circolava l'opzione clamorosa di una sostituzione del ministro per evitare ulteriori imbarazzi alla maggioranza. Che può contare sui 58 senatori della Lega e 107 del M5s, totale 165 voti: poco sopra la maggioranza assoluta che è a quota 159. Con i grillini votano gli «stranieri» del Maie Cario e Merlo e quasi sempre anche i due espulsi di rimborsopoli Buccarella e Martelli, ma non l'hombre vertical Gregorio De Falco. Il ministro però appare sempre più indebolito dalla gestione zigzagante del dossier costi-benefici e tra i grillini c'è chi ne reclamerà la testa, se il compromesso finale sulla Torino-Lione fosse sgradito all'ala NoTav. Ma è un'opzione estrema, perché dare ora il via libera al rimpasto di cui si parla da tempo darebbe l'impressione di una maggioranza piegata dall'attacco delle opposizioni. Ieri dunque, in conferenza dei capigruppo al Senato, i gialloverdi hanno respinto l'assalto di Malan e Marcucci, che chiedevano di fissare il voto sulle mozioni il 12 marzo. Si è scelta invece la data del 21. Pochi giorni di tregua in più, ma fondamentali, se letti alla luce del gioco delle date parlamentari. Perché proprio ieri è stato calendarizzato anche il voto sul caso Diciotti. L'aula è chiamata ad esprimersi sulla decisione della Giunta per le immunità di non concedere l'autorizzazione a procedere per Matteo Salvini. La data scelta, guarda caso, è il 20, subito prima delle mozioni su Toninelli. Un modo per prefigurare l'ennesimo scambio Lega-M5s.
«Facciano pure - prevede Malan - noi andiamo avanti comunque con la mozione, perché è l'unico modo di denunciare che il 20 marzo l'Italia rischia di perdere 300 milioni per questi giochetti gialloverdi». Toninelli insomma potrebbe scampare al «licenziamento». Ma la pratica Tav è passata a Conte. E il ministro è finito ai margini, «in aspettativa».
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