Politica

Dalla Toscana alla Puglia, cosa rischiano i governatori

Rossi è in minoranza tra i consiglieri renziani. Blindati Emiliano e anche De Luca

Dalla Toscana alla Puglia, cosa rischiano i governatori

Contraccolpi in Toscana da un'eventuale scissione? «Assolutamente no, mica siamo in Bulgaria» assicura il governatore scissionista Enrico Rossi. I conti però danno una situazione molto più bulgara di quanto non dica Rossi: la sua area è in assoluta in minoranza nel consiglio regionale, con i consiglieri Pd tutti renziani (a partire dal capogruppo Marras) tranne 3, su 24. Pochini per stare tranquilli. Tanto che i maligni hanno visto nell'incontro l'altro giorno a Firenze tra Renzi e il sindaco Nardella, suo fedelissimo, la premessa per un'operazione di rovesciamento della giunta Rossi nel caso la sua corrente Democratici Socialisti diventasse un partito. In realtà, la minorità numerica del governatore non significa la sua caduta automatica, e anche i «turborenziani» toscani hanno già fatto capire che si potrebbe continuare a governare insieme la Regione, anche dopo una divisione. La Toscana però fa eccezione, perché nel 2015, ultima tornata regionale, gli eletti di provata fede renziana sono stati una minoranza, meno di uno su tre, rispetto ai consiglieri espressione della vecchia «ditta», o in quota personale ai governatori. Che ora, nel braccio di ferro con Renzi, possono contare su buone truppe. È il caso di Michele Emiliano, vero ras del partito in Puglia. L'unico consigliere regionale Pd che non ha appoggiato la sua linea contro il segretario si chiama Donato Pentassuglia, ormai considerato l'ultimo dei renziani nel consiglio regionale pugliese. La fronda al governatore in Puglia è composta soprattutto da parlamentari (tra cui il viceministro Bellanova) ed europarlamentari che si sono ritrovati nella sede regionale a Bari per una conferenza stampa contro Emiliano, che «in due anni non ha risolto nessun problema», e poi «basta insulti e lotte di potere personali». Ma la suo poltrona in Puglia sembra ben salda.

Storia a sè la Campania di De Luca, che dopo una fase agitata con Renzi ha fatto pace col segretario, anche perchè non ci tiene a portare acqua al mulino di Emiliano (quando si è ipotizzato un asse del Sud con lui, Crocetta ed Emiliano, ha ironizzato su Twitter: «Pizza, arancini, e cime di rapa. Borboni forever. Che godimento»). E poi De Luca può contare su una maggioranza di consiglieri a lui fedelissimi, tanto da aver un suo movimento, «Campania Libera», che si presenterà alle prossime amministrative. Insomma una scissione Pd non cambierebbe nulla nel potere regionale in Campania.

Più delicati i casi di Basilicata e Calabria. Il presidente lucano, Marcello Pittella, è schierato con l'ex premier, ma da quelle parti ha influenza lo scissionista Roberto Speranza, da Potenza. In Calabria il governatore piddino Oliverio prega che non ci siano scissioni («sarebbe da irresponsabili»), ma nell'eventualità è già decisa la mossa: resterebbe nel Pd insieme alla maggioranza dei consiglieri, ma le correnti sono molto agitate anche in Calabria, tra eletti che fanno capo al ministro Orlando e altri che rispondono a Franceschini. Poi ci sono i comuni, quelli governati dal Pd sono centinaia, difficile immaginare tutte le conseguenze di una rottura con la minoranza.

Comprese quelle sulle amministrative della prossima primavera.

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