Hanno evidentemente la manica larga, i capi della azienda di informatica che ha assunto Barbara Balzerani, già membro della direzione strategica delle Brigate Rosse: cui, invece di timbrare il cartellino, concedono di impiegare il tempo scrivendo libri e girando l'Italia per presentazioni, convegni e dibattiti. Contenti loro, si potrebbe dire. Peccato che i tour della Balzerani si trasformino in una sorta di campagna revisionistica della stagione del terrore, in cui l'unico vero torto che viene ammesso dalle Br è quello di non avere vinto la loro guerra. Più delle inossidabili certezze della Balzerani, fa effetto il fascino che le sue rivendicazioni esercitano non solo sui vecchi compagni di ideali, ma anche su una galassia che va dal mondo antagonista a settori della sinistra parlamentare, del sindacalismo di base e persino delle istituzioni. Non una banda di fanatici ma degli Icaro caduti in volo: così la Balzerani e i suoi compagni si presentano e vengono applauditi.
Il D-Day, il giorno in cui la sanguinosa utopia brigatista viene ufficialmente sdoganata, è il 19 gennaio 2013, quando si celebrano i funerali di Prospero Gallinari, fondatore delle Br: a salutare a pugno chiuso la bara ci sono i quadri storici, con in testa Renato Curcio e la Balzerani: ma anche centri sociali, comitati no Tav, persino il coordinatore di Rifondazione Comunista Alberto Ferrigno e il segretario nazionale Claudio Grassi, già senatore. Pugni chiusi, inni partigiani, un clima da «formidabili quegli anni».
«Non sarò mai né un ex brigatista né una dissociata», dice pochi giorni dopo la Balzerani. È una rivendicazione tetragona della giustezza delle ragioni brigatiste che non impedisce a settori importanti della sinistra di flirtare con l'ex ergastolana. A venire sedotta è anche una figlia della più celebre vittima delle Br, Maria Fida Moro: che nel 2007 incontra a lungo la Balzerani, e ne esce dando il suo decisivo via libera alla scarcerazione della brigatista. La quale oggi la ringrazia con la battuta brutale a margine di un incontro a Firenze, «quello di vittima ormai è un mestiere».
A fare la fila per ospitare la Balzerani sono soprattutto i centri sociali dell'ala antagonista: le ultime esternazioni di «Compagna Luna» (suo soprannome e titolo della sua autobiografia) hanno avuto per teatro il Cpa di Firenze. Nel 2009 era toccato al «Corto Circuito» di Roma, il cui sgombero, dopo ventitré anni di occupazione abusiva, verrà poi stigmatizzato dai leader di Sinistra Italiana: come se la rivendicazione dell'esperienza brigatista non fosse sufficiente a tirare una riga nel dibattito a sinistra, non bastasse a separare ragioni e torti, e anche i crimini delle Br dovessero venire ammessi nell'album di famiglia della gauche.
Qua e là per l'Italia - da Ruvo di Puglia a Carpineto Romano a Aiello Calabro - sindaci in stato confusionale si candidano a ospitare e patrocinare le presentazioni-comizio della Balzerani. Ma i veri plebisciti «compagna Luna» li riscuote sui social network, di cui è alacre frequentatrice.
E dove anche le ultime polemiche che l'hanno investita per la battutaccia sul «mestiere di vittima» vedono scendere in campo al suo fianco valanghe di supporter: «Hai avuto il coraggio di agire insieme agli altri compagni per una trasformazione in senso socialista della società e osato sfidare frontalmente il capitalismo!».E roba di questo genere.
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