Man mano che affluiscono i dati, al Nazareno cresce l’allarme. Il favorito milanese, Beppe Sala, è incalzato dal candidato del centrodestra Stefano Parisi. A Roma Roberto Giachetti è tallonato da Giorgia Meloni, il ballottaggio è incerto, e la candidata grillina Virginia Raggi è a molti, molti punti di distanza. A Torino, clamorosamente, le proiezioni danno Piero Fassino in testa ma a pochi passi dalla grillina Appendino. Napoli è una debacle prevista, con la candidata Pd che sembar fuori dal ballottaggio.
Persino a Bologna l’uscente Virginio Merola è messo molto peggio del previsto. E i dati di lista del Pd, nelle varie città d’Italia dove si è votato, sono in calo. Un quadro che, se effettivamente confermato dalle urne, crea una situazione di grande difficoltà per un Pd renziano che ieri sembrava solo contro tutti, davanti ad una montante offensiva dell’antipolitica, e per il premier, che dovrebbe affrontare dei ballottaggi assai difficili. A tarda ora parla il vicesegretario Lorenzo Guerini: «A Roma sapevamo quali erano le difficoltà di partenza, da Mafia capitale alle vicende della giunta Marino», dice. Ma «attendiamo con fiducia». Il quadro complessivo, però, lascia prevedere tempi duri: Renzi con ogni probabilità dovrà subire anche l’offensiva della minoranza interna, che punta tutte le sue carte su una batosta elettorale per iniziare la guerriglia finale in vista del referendum costituzionale, quello che Renzi considera «la vera partita» e che, da ieri, sembra una partita assai più rischiosa. C’è già chi, nelle file bersaniane, spinge per chiedere le dimissioni del segretario Pd, con l’accusa che il doppio incarico tra governo e segreteria contribuisca all’indebolimento elettorale. Molto dipende dalla distanza tra i candidati al ballottaggio: nei primi exit poll data molto alta tra Raggi e Giachetti, troppo bassa tra Sala e Parisi. Nessuno, neppure gli avvelenati contestatori della minoranza bersaniana, può rimproverare al premier di non aver investito su questa tornata di amministrative: «Come avete visto, la faccia ce la ho messa e fino in fondo, per sostenere i nostri candidati».
A Milano con Sala, a Torino con Fassino, ovviamente a Roma, nell’affollatissimo show dell’Auditorium, con Giachetti. E persino a Napoli, città dove il Pd è uscito dilaniato dalle primarie perse da Antonio Bassolino, Renzi non ha esitato a farsi vedere a fianco di una candidata considerata assai debole fin dall’inizio, Valeria Valente. Ma sul bilancio politico complessivo da tirare una volta chiuse le urne, la linea renziana è stata chiara fin dall’inizio e non cambia: «Si vota per scegliere chi deve governare le città: questo non è un test sul governo, né su di me». Difficile però che contestatori interni ed oppositori esterni la lascino passare. Fin dall’inizio era chiaro a Palazzo Chigi che la partita delle amministrative sarebbe stata tutta in salita per il Pd: su 25 comuni capoluogo che sono andati al voto, ben 19 erano in mano al centrosinistra. Posto che riuscire a confermarle tutte era un’utopia, era facile previsione che il Pd avrebbe incassato qualche sconfitta, e che ogni avversario - esterno ed interno - sarebbe stato pronto a metterle in conto al premier.
Ora occorre vincere più ballottaggi possibile: a Milano, il Pd punta sullo scontro interno al centrodestra tra Lega e Forza Italia che può penalizzare Stefano Parisi. A Roma non c’è molta speranza. La partita è tutta in salita, e assai faticosa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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