Sisma Centro Italia

La tragedia non sia il pretesto per dare spazio ai forcaioli

Il vescovo di Rieti cade nell'equivoco sulla Natura sempre buona. Ma l'Uomo non ne è forse parte?

La tragedia non sia il pretesto per dare spazio ai forcaioli

Il vescovo Domenico Pompili è sembrato ieri, pur nel calore del suo affetto, un sacerdote del positivismo, per cui tutto è spiegabile con la chimica, la fisica e la sete di guadagno dei cattivi. Dio se c'è sta sopra le nuvole, non c'entra. Guarda. Lascia fare. A cose fatte, al massimo, tramite il vescovo consola e accusa. «I terremoti esistono da quando esiste la terra. I paesaggi, le montagne, tutto è dovuto ai terremoti...». Beato sii, frate Terremoto. «Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell'uomo». Ha aggiunto: «Non dobbiamo fare di Dio il capro espiatorio». Mi oppongo, invece: sì. Cristo c'è esattamente per questo. Il capro espiatorio è un mito antico, ma si è fatto realtà proprio nella figura di Cristo, che innocente! - si è fatto mettere in croce. Credo che Dio preferisca questa accusa a suo figlio e pure a se stesso che la caccia alle streghe. Gradisca essere percosso Lui, in prima persona, da quel «Maledetto!» gridato ieri al funerale da una donna che ha perso una bambina, rispetto al «maledetto ingegnere!» o «maledetto ministro!», giù fino al sindaco e all'assessore, al parroco e al vescovo. Ci sono colpe senz'altro. Ma tradurre una tragedia immensa in un atto di accusa all'umanità in generale e a Tizio e Caio in particolare, elude la domanda sul dolore e la morte, su che cosa sia la natura e la nostra presenza nel mondo.

Il direttore Sallusti lo ha contraddetto ieri, solitario nel panorama dei commenti, in nome dell'evidenza del mistero delle cose. La catastrofe non assolve da responsabilità e negligenze, ma non può essere, nella predica di un sacerdote (che è «mistagogica», si scusi il termine tecnico, non è cioè puro discorso, ma riflesso del Vangelo), una ghiottoneria per la fame di manette della magistratura e dei forcaioli d'ogni ordine e grado. Ha annotato, con ironia, Fabrizio Roncone sul Corriere, dopo aver riferito la tesi di Pompili: «Concetto che comincia ad essere condiviso dalla Procura di Rieti». Infatti la Procura essa si muove e si muoverà. Temiamo persino contro la curia e il vescovo Pompili di Rieti. Risulta infatti che il campanile di Accumoli, nella sua 2 diocesi, alla cui sicurezza erano destinati certi fondi, sia stato trascurato a favore del complesso parrocchiale San Francesco. E quel campanile è caduto annientando una famiglia. Si sa pure, a quanto pare, che altre chiese esibissero indebitamente la certificazione antisismica. Che facciamo, risaliamo dal parroco al vescovo e dal vescovo, come farebbero in Americo, a Papa Francesco? Monsignor Pompili sin dai primi istanti si è lasciato bagnare la camicia impolverata dalle lacrime dei fedeli di Amatrice, dov'era andato il 13 agosto ad aprire la porta del Giubileo. Qui non si discute la sua prontezza nel soccorso spirituale e materiale, la sua amicizia profonda verso la propria gente. Resto sgomento per la caduta stupefacente in un equivoco teologico modernista, anzi ormai post-modernista. E che cioè per essere aggiornata con i tempi la Chiesa deve passare dal timor di Dio, e dalla gratuità dei segni anche tremendi che sono un invito alla conversione, ad uno scientismo che oggi è rifiutato persino dalla gran parte di fisici e matematici. Questa ideologia per cui la scienza progressista può tutto e che, se si muore di terremoto o di alluvione o per l'esplosione di una caldaia, la colpa è sempre di un sabotatore, era già stata di Stalin. Fece processare ingegneri e medici, geologi e fisici. Più di recente, si è espressa all'Aquila con l'accusa e la condanna in primo grado per omicidio colposo contro gli scienziati della commissione grandi rischi poiché non erano stata capaci di prevedere il passaggio dallo sciame sismico al colpo fatale (anzi: lo sapevano ma hanno taciuto). Non aveva ancora avuto il bacio della dottrina cristiana durante una messa in diretta tivù. Secondo questa vulgata post-moderna la Natura è buona, basta sintonizzarsi con l'armonia che la costituisce, e il male, opplà, se ne va. Si è tornati all'idea della Gea Madre, dall'immenso ventre apostolico e senza macchia, identificata con Dio. Ne abbiamo visto la liturgia panteistica l'8 dicembre scorso con la facciata di San Pietro trasformata in lenzuolo ecologico dove proiettare immagini atte a documentare l'innocenza della Natura-Dio- Scimmia-Giraffa- Farfalla. Per carità, l'uomo è certo più cattivo della Natura, ma non ne è forse anch'egli parte? Non è forse quel livello della Natura dove essa diventa cosciente di se stessa? E allora perché Dio consente agli uomini di essere cattivi, e di fare cattive opere? Come si vede la domanda su Dio resta lo stesso. Alla fine della catena c'è sempre Lui. E la domanda su questa «diceria immortale» (Robert Speimann), ineludibile anche per l'ateo, permane, più drammatica che mai, e perché - se esiste - abbia lasciato libero l'uomo (ma anche la natura) di essere crudele.

Credo che la risposta stia solo in quel crocifisso inerme, maciullato, portato davanti alle bare di Amatrice, a cui il terremoto ha portato via anche il legno della croce.

Commenti