Nessuno avrebbe mai immaginato che il Ponte Morandi potesse crollare. È vero che tanti denunciavano un ponte in difficoltà, ma mai alcuno si era esposto in maniera ferma circa le reali debolezze strutturali di quell'opera da consigliarne l'immediata chiusura al transito, persino le più titolate università non avevano lontanamente previsto il rischio di una sciagura imminente. Inoltre, se si fossero costruite per tempo linee stradali e ferroviarie alternative o sostitutive al Ponte Morandi, oggi probabilmente non avremmo totalmente paralizzato l'area portuale più importante del Paese.
Ogni opera per quanto perfettamente pianificata e correttamente realizzata, utilizzando peraltro materiali idonei, ha comunque un suo inizio e purtroppo una sua fine. In termini tecnici si chiama durabilità dell'infrastruttura. Il percorso di un'opera si esaurisce di fatto quando le nuove norme sulla sicurezza sempre più puntuali e severe iniziano a diventare inattuabili, quando i carichi a cui è sottoposta l'infrastruttura si rivelano molto più gravosi rispetto a quelli previsti al momento del suo concepimento, quando i costi per la manutenzione straordinaria o per interventi edilizi più complessi iniziano e divenire proibitivi e scarsamente risolutivi, quando diventa problematico il rispetto di ogni tipo di standard qualitativo (facilmente raggiungibile nelle nuove infrastrutture mediante l'utilizzo delle più moderne tecnologie/metodologie e materiali inediti), quando - infine - ogni attività di riparazione si rivela antieconomica rispetto alla sostituzione dell'opera ormai vetusta.
Il ponte Morandi aveva poco più di cinquant'anni, mentre il traforo ferroviario del Frejus ne ha poco meno di centocinquanta. Oggi appare facile trovare mille difetti al ponte crollato, ma ieri? Il traforo ferroviario del Frejus disattende la normativa nazionale emanata nel 2005 sulla sicurezza nelle gallerie a cui l'opera dovrebbe inderogabilmente adeguarsi nei 15 anni successivi dalla entrata in vigore del decreto, e quindi entro il 2020. Tale normativa prevede che i tunnel costituiti da una sola galleria a due binari, per entrambi i sensi di marcia, di lunghezza superiore ai mille metri debbano obbligatoriamente possedere una finestra di accesso carrabile ogni 4 chilometri circa, mentre la successiva normativa europea datata 2008, ancor più restrittiva, riduce a un chilometro la distanza tra le diverse uscite di sicurezza. Gli affacci carrabili dovrebbero peraltro avere aperture sufficienti in grado di rendere possibile l'accesso ai mezzi di soccorso.
L'attuale galleria del Frejus invece, non ha uscite di emergenza e non ha neppure un moderno impianto di ventilazione. Anche i lavori di adeguamento eseguiti tra il 2003 ed il 2011 per una spesa complessiva di 107 milioni di euro al fine di implementare le misure antincendio ed accrescere i volumi nel trasporto delle merci hanno potuto offrire un apporto modesto. L'esigua distanza tra i binari, le pendenze eccessive e la tortuosità del tracciato evidenziano inoltre, lo stato di una infrastruttura ormai in grave sofferenza.
Francamente sarebbe sufficiente porre attenzione alle condizioni canoniche summenzionate di esaurimento del percorso di una infrastruttura per rinvenire in maniera marchiana dei punti di contatto tra il Ponte Morandi ed il Frejus e sarebbe da irresponsabili non valutare con estrema attenzione i rischi che si potrebbero correre nel cuore di un'opera realizzata un secolo e mezzo fa. Per quanto si possa procedere con costosissimi lavori di adeguamento gli esiti risulteranno sempre meno soddisfacenti, sino a divenire poco più che dei palliativi. Oltre ai problemi strutturali, i quali certamente già gravano come un macigno sul regolare utilizzo del traforo, occorre tener presente che la linea è ormai quasi fuori mercato. A causa di una pendenza esagerata e di uno spazio interno alla galleria piuttosto ridotto, sono ormai abilitati al transito soltanto treni corti e leggeri, quando il mercato li richiederebbe viceversa lunghi e pesanti. Quella del Frejus è ormai una linea ferroviaria che per comprensibili ragioni di cautela autorizza al traffico giornaliero un numero sempre più limitato di convogli, una sorta di graduale esaurimento fisiologico per un'opera che ha già fatto la storia del nostro Paese e che dovrà sostenere l'ultimo sforzo prima di cedere il testimone a una infrastruttura moderna non ulteriormente rinviabile, tecnologicamente avanzata e adeguata alle nuove esigenze di traffico, di sicurezza e di emancipazione del Paese.
Il traforo ferroviario del Frejus prevedeva il collegamento, tramite l'alta Savoia, tra la Pianura Padana (il Porto di Genova) e la Francia. Al momento della sua apertura era il più lungo tunnel ferroviario del mondo quasi 13 chilometri e rimase tale fino al giugno 1882, quando fu aperto al traffico quello del San Gottardo. L'attivazione della ferrovia permise di collegare Torino con Parigi in 21 ore e mezza, rispetto alle 85 ore del periodo precedente. I lavori di scavo iniziarono il 31 agosto del 1857 e si conclusero il giorno di Natale del 1870.
All'inaugurazione purtroppo, non poté assistere Cavour, il più fervente sostenitore dell'opera, scomparso nel 1861, statista di spiccata mentalità europea, fortemente aperto al progresso, che accettò una sfida dall'esito per nulla scontato in un settore tecnologico all'epoca ancora poco conosciuto ma di cui ne intravide immediatamente le smisurate potenzialità. Il Parlamento di allora stanziò una somma pari a 40 milioni di lire. Alla fine di milioni ne vennero spesi complessivamente 70, comprensivi dei 26 milioni di contributo francese.
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