Trappola di Renzi al premier nella trattativa con Bruxelles

Mentre Gentiloni riannoda i fili con la Ue, il leader Pd spara su Berlino: teme una manovra sotto elezioni

Trappola di Renzi al premier nella trattativa con Bruxelles

Esiste una fiera perversione del paradosso, in questo braccio di ferro tra governo italiano e Ue. Più che braccio di ferro, filo teso sull'abisso. Sospesi ad esso, dondolano destini alieni e divergenti, come quelli dell'esecutivo Gentiloni e di un'Europa che si trova a doversi mostrarsi integerrima, ma allo stesso tempo anche unita, per non cader vittima della morsa feroce Trump-Putin.

Al filo tenue delle trattative, condotte con il consueto passo felpato da Gentiloni, è anche appeso il futuro del leader responsabile dello stato delle cose, Matteo Renzi. Per dirla con la schiettezza del capogruppo azzurro Brunetta, il conto che la Ue ci presenta è frutto delle «marchette di Renzi e Padoan» (investimento elettorale quanto mai azzardato e infruttuoso, come si sa).

Senonché. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ieri era a Roma dove con Gentiloni ha riannodato qualche strappo. Se l'autonomia di bilancio va difesa, primario interesse di Bruxelles è diventato quello di preservare l'Europa dalla minaccia costituita da Trump. Non mostrarla divisa e litigiosa. Cambio di prospettiva che consente all'Italia di giocare ancora buone carte diplomatiche, allungare i tempi, esibire «buonsenso» senza fornire tutti i dettagli, sperare nello «sconticino» dovuto a fattori eccezionali. Tusk ha ben inteso e interpretato. Così che scriveva su Twitter i temi dell'incontro con Gentiloni in un ordine non casuale: «migrazione, Libia e futuro della Ue prima dei vertici di Malta e Roma». Parlando poi della visita al Quirinale, l'emissario europeo è tornato a esprimere solidarietà per il terremoto, nonché il «forte impegno all'unità per il futuro Ue e la crisi migratoria». Esili, ma non scontati segnali positivi per una situazione che mette l'Ue sotto scacco imponendo delicatezza, moderazione, equilibrio.

Senonché. Su questo scacchiere c'è anche un convitato di pietra che, giusto ieri, avvertiva impellente il bisogno di alzare la voce. Dare sfogo al fantasma che lo tormenta in queste ore: una manovra da 3,4 miliardi che piomberebbe sull'agognata campagna elettorale di giugno come una bomba H. Altro che vitalizi di settembre ai parlamentari. Così Renzi, dopo aver spiegato per sms che occorre «farsi sentire sui vincoli di bilancio e sull'austerity», sul suo nuovo blog metteva i piedi nel piatto, utilizzando la pressione di Trump «perché l'Europa si metta a riflettere su se stessa», e inizi «a chiedere il rispetto delle regole a tutti i Paesi, non solo a quelli affacciati sul Mediterraneo». Sorgessero dubbi sul destinatario dell'invettiva, il segretario del Pd ricordava che il team economico di Trump ha «fortemente polemizzato con la Germania per lo spaventoso squilibrio commerciale. Mi colpisce - scriveva Renzi - perché le regole dicono che il surplus commerciale della Germania non può essere superiore al 6 per cento, e oggi è intorno al 9. Si tratta di una violazione delle regole che fa male a tutta l'Europa. E che la indebolisce a favore dei soli amici tedeschi... noi vogliamo rispettare le regole, ma dobbiamo farlo tutti. Anche la Germania. La filosofia dei due pesi e due misure è sbagliata. Quando arriveremo in campagna elettorale dovremo ribadire quanto sia stato importante rispettare le regole... ma tutti, anche i tedeschi».

Argomenti risaputi e corretti; se solo fossero stati avanzati a tempo debito, quando l'ex premier pendeva dalle labbra della Merkel. A tirarli fuori oggi, così a sproposito, è facile intendere che abbiano un destinatario che non abita a Berlino, ma a Palazzo Chigi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica