Politica

Travaglio e Grillo lo mollano. Di Maio si aggrappa ai No Tav

«Il Fatto» lo stronca, la fedelissima del comico lo sconfessa. Lui per recuperare torna anti-tutto. M5s giù nei sondaggi

Travaglio e Grillo lo mollano. Di Maio si aggrappa ai No Tav

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Sarà stato pure un diversivo, l'inopinato attacco al presidente della Bce Draghi da parte del vicepremier Luigi Di Maio, come fu la richiesta dell'impeachment per Mattarella. Manovra per sottrarsi all'isolamento e all'accerchiamento sia fuori che dentro i Cinquestelle, come se la raccontano i retroscenisti.

Fatto è che accusare il governatore centrale europeo di «avvelenare il clima» e «non tifare per l'Italia» - sia stata imprudenza di Di Maio o scelta sbagliata di altri imposta al vicepremier - rischia seriamente di pregiudicare il lavoro fatto fin qui dal capo politico dei 5s per far dimenticare la propria inesperienza. Denotando, come notava uno dei maggiori sponsor del Di Maio-pensiero, Marco Travaglio nell'editoriale di ieri, «una buona dose di infantilismo e di inadeguatezza, non degna di un vicepremier e un ministro... ma neppure di un leader politico che dovrebbe essere sintonizzato con i cittadini o, quantomeno, con i suoi elettori». La reprimenda del direttore del Fatto è stata talmente violenta (e in larga parte giustificata) da terminare invocando «un linguaggio da statisti e non da asilo Mariuccia o da osteria» e lasciar intuire che la poltrona del «capo politico», oggi, si sia fatta oltremodo traballante. Persino all'interno di M5s, dove cresce invece la fiducia e la stima verso il premier Conte (unico a salire nei sondaggi che danno M5s sempre in calo). E a mettere dubbio la linea Di Maio sono gli ortodossi, da Roberto Fico a una grillina doc come Carla Ruocco: «Il Dl fiscale è contrario ai nostri valori».

Tutto questo, naturalmente, non sfugge al giovane Luigi, che non è riuscito a godersi neppure lo scampato pericolo per un declassamento di Standard& Poor's. Il suo nervosismo, ieri palese, ne ha accentuato toni e giustificazioni, la propaganda e, di conseguenza, gli svarioni. Anzitutto, la mezza smentita su Draghi: «Io non ho litigato con il presidente della Bce, ho solo espresso un parare, così come lui esprime i suoi». Quindi è passato a ribadire che «il governo non arretra» e farà tutto quanto ha promesso, volendo smentire anche le voci di un reddito di cittadinanza «ammorbidito» per venir incontro a Bruxelles. Ancora: in visita nel Catanese, il vicepremier ha tenuto a riposizionarsi sulla Ue: «Noi non usciamo dall'euro, noi ci stiamo bene, in Europa. Basta dire il contrario, è una narrazione sbagliata». Di rivendicazione in rivendicazione, è arrivato a sostenere che «sovranità non è una brutta parola» e che «siamo vicini alle banche (in difficoltà per lo spread, ndr), ma non ci metto un euro degli italiani, ce ne abbiamo già messi troppi in questi anni». Se l'è presa quindi con i «tanti che tifano per lo spread» (versione aggiornata dei «gufi» di Renzi) e ha dato fondo a vecchi cavalli di battaglia grillini, tipo la battaglie contro il Muos, il sistema satellitare Usa contestato nell'Ennese («nei prossimi giorni ci saranno novità», ha promesso). Ma quando è dovuto andare più nel concreto, per esempio su Tav e Tap, è incominciato la sua seduta di pattinaggio sul ghiaccio. «Nessuno nel governo vuole foraggiare la Tav, siamo contrari, è nel contratto», ha detto, dimenticando che gli alleati leghisti hanno ben altre posizioni. Soprattutto, ha dovuto ammettere che aveva ragione Conte: «Da ministro del Mise ho studiato le carte per tre mesi, anzi ci sono andato lì anche per poterle studiare, le carte, e non è semplice dover dire che sulla Tap ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro... Ma così è». Ammissione d'impotenza che ha reso flebile ogni rassicurazione spesa ieri dallo stesso Di Maio, come pure da Toninelli e Bonafede, sulla compatezza del governo e di M5S. «Hanno voglia a raccontarci spaccati, la gente è con noi, che sollievo la stampa che ci attacca. Più ci attaccano e più ci fortifichiamo».

Manco fosse un vaccino.

Commenti