Popolare Vicenza e Veneto Banca sono ormai attorno ai due terzi del percorso previsto dalle rispettive offerte di transazione verso i soci «azzerati» dal crollo delle azioni, ma il rischio legale per i due istituti del Nord est impegnati a ottenere dall'Europa il via libera a un «aumento precauzionale» da circa 5 miliardi per evitare il baratro del bail-in, aumenta ancora. Venerdì scorso il tribunale civile di Verona ha infatti condannato Popolare Vicenza a indennizzare per intero 40mila euro una piccola e anziana socia, cui sarebbero stato venduto un pacchetto di azioni «illiquide» (le due banche non sono quotate in Borsa) in violazione alle regole della Mifid, cioè del suo profilo di rischio. In sostanza un caso di misselling.
La banca, ora controllata dal Fondo Atlante che ne sta tentando il salvataggio con il piano industriale formulato dal nuovo ad Fabrizio Viola (che prevede la fusione con l'altra «malata» Veneto Banca), ha tutta l'intenzione di ricorrere fino all'ultimo grado di giudizio. Dopo questa sentenza - rimbalzata ieri sul Corriere del Veneto - le offerte di transazione delle due ex popolari, molto difficilmente riusciranno tuttavia ad avanzare dall'attuale 67-68% per sfondare la soglia del 70%: i soci hanno tempo per aderire fino a domani alle 13.30, quando il cda approverà i conti del 2016.
Il pronunciamento dei giudici avrebbe avuto una magnitudo molto maggiore se si fosse materializzato solo qualche mese fa, fino forse a bloccare le offerte di transazione. Ma anche oggi, che circa i due terzi dei soci hanno accettato l'indennizzo rinunciando alle vie legali, tutto si complica. Perché i board dovranno scandagliare più a fondo il «pericolo causa» da parte dei soci dissenzienti (circa il 25% del totale). Stando ai numeri, il rischio teorico arriva quindi fino a un massimo di 1,5 miliardi, ma il pericolo effettivo promette di essere molto più basso, perché andrà soppesata la condotta delle vecchie gestioni dei due istituti; basti pensare agli ex padri padroni Gianni Zonin e Vincenzo Consoli, finiti nel mirino della magistratura, ai cosiddetti prestiti «baciati» ai soci per seguire gli aumenti di capitale o agli azionisti «scavalcati» nelle liste d'attesa per vendere.
Di certo, tuttavia, la sentenza veronese non aiuta Atlante, che ha già speso 3,5 miliardi per salvare le banche e ora è alle prese tra le divergenti posizioni dei propri soci su come impiegare gli ultimi 1,7 miliardi in cassa. Il tentativo è comunque mantenere la maggioranza del combinato che nascerà dalla fusione tra Vicenza e Veneto Banca, oggi controllate dal Fondo al 99%, accanto allo Stato.
A patto però di convincere l'Europa di avere le carte in regola per la «ricapitalizzazione precauzionale». Ecco perché le offerte di transazione sono centrali per «liberare» capitale, altrimenti non resterebbe che il fallimento o fare pagare tutto ai contribuenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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