Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni Internazionali della facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e noto politologo, ne è certo: il cosiddetto partito anti-Nato non potrà contare su un grosso consenso. Anzi, la parabola potrebbe essere in discesa sin dal principio.
Michele Santoro ha annunciato la discesa in campo. L'alleato naturale del Movimento 5 Stelle?
«Si tratta di un fronte: questo è chiaro. Non capisco però se sia composto da «Utili idioti», da persone che posseggono un livore anti-occidentale con radici antiche o da esponenti che hanno delle smodate ambizioni di potere».
Santoro non è mai stato un atlantista di ferro.
«Santoro è contro le guerre americane anche quando gli americani non sono in guerra. Voglio ricordare un dato fattuale: è la Russia che ha invaso l'Ucraina. In quest'ultima, non c'è un soldato occidentale. Sembra che Santoro abbia una sorta di riflesso da cane di Pavlov: quando vede guerra, percepisce America. Credo che sia un atteggiamento non accettabile. Qualcosa che la dice lunga sulla qualità del personaggio».
Stando al suo punto di vista, è possibile che questo fronte anti-Nato possegga una qualche appetibilità elettorale in vista delle elezioni politiche? Oppure l'operazione, per così dire, è destinata al fallimento?
«Esiste una parte di elettorato che potrebbe guardare ad esperienze come questa. Penso ad una percentuale di elettori che ha votato per il Movimento 5 Stelle alle scorse elezioni.
Oppure potrei riferirmi ad una fetta dell'elettorato che potrebbe guardare volentieri in direzione di Sinistra Italiana, e quindi di Fratoianni. E ancora i cattolici ultrapacifisti, la sinistra radicale e così via. C'è un insieme di italiani che potrebbe ancora essere affascinato da Santoro. Penso a persone della terza età, come lui».
Non ritiene possibile che le giovani generazioni subiscano il fascino di un partito anti-Nato?
«Credo che Santoro dica qualcosa solo ai suoi coetanei. Gente che lavorava sino a qualche anno fa e che - diciamo così - fa qualche fatica a fare i conti con il proprio pensionamento».
I grillini, con Alessandro Di Battista o meno, sembrano il compagno di viaggio perfetto per una formazione politica come quella che il giornalista ha disegnato.
«Sì. Si tratta in entrambi i casi di fenomeni che hanno avuto la loro stagione. Anzi, che hanno fatto la loro stagione. L'hanno in qualche modo impiegata. Si potrebbe dire che l'abbiano sprecata. Il punto fondamentale da sottolineare è che, in ambo i casi, non c'è ancora rassegnazione al fatto che quella stagione sia ormai passata. Guardi, non ci girerei troppo attorno: vedo questa iniziativa di Santoro come una mancata rassegnazione a quello che potremmo definire un tramonto».
Lei è un occidentalista. Anche l'Occidente viene spesso associato ad un crepuscolo ormai in corso.
«L'Occidente? L'Occidente dev'essere rimesso in piedi. Non si tratta di tirare fuori gli attributi, come qualcuno potrebbe pensare. Il discorso è un altro. Bisogna ricostruire la coerenza del posizionamento occidentale, che è inclusivo, popolare ed atlantico. Una tipologia di posizionamento che guarda sì verso l'esterno ma che è anzitutto concentrato sulle sue carenze. Nel centrosinistra italiano è atlantista il Pd, certo, ma forse è più atlantista, e non senza essere critico, Carlo Calenda.
Non dimentichiamoci che c'è da rimettere ordine nella globalizzazione. Questa è la posizione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ma anche quella della presidente della Commissione dell'Unione europea Ursula Von der Leyen».
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