Sulla carta chiedevano asilo. In strada, sulle Rive di Trieste, a due passi dal cuore della città e dell'elegante salotto di piazza Unità, gestivano un vero hub dello spaccio a una clientela in gran parte minorenne. I sedici migranti che smerciavano hashish a cielo aperto ed erano diventati il punto di riferimento di giovanissimi, ieri sono comparsi davanti al gip di Trieste Luigi Dainotti per l'udienza preliminare nel procedimento a loro carico per spaccio. Sono tutti richiedenti asilo, afghani, iracheni, pakistani, e un bulgaro, e devono rispondere dell'accusa confermata dai nastri di centinaia gli scambi filmati dagli agenti della Squadra mobile attraverso telecamere nascoste.
Contrattavano modi, quantità e prezzi, tenevano addosso solo microdosi compatibili con l'«uso personale», e agivano forti di una rete organizzata di complici nel ruolo di vedette per eludere i controlli. Cinque dei dieci arrestati nella retata di ottobre scorso, erano finiti in carcere, tre si erano visti concedere i domiciliari nei centri d'accoglienza di Ics e Caritas e altri erano rimasti a piede libero in attesa di giudizio. Le posizioni più gravi sono quelle relative ai migranti che hanno ceduto le sostanze a ragazzini sotto i diciotto anni. Per loro il pm Federico Frezza avrebbe proposto il patteggiamento a un anno e sei mesi. Pena ridotta a un anno e due mesi per chi si è rivolto a clienti solo maggiorenni.
«Tenevo l'hashish per me, per uso personale, l'ho ceduta solo a chi me l'ha chiesta, non sono uno spacciatore, voglio solo ottenere l'asilo», si era giustificato uno dei principale attori della banda durante l'interrogatorio di garanzia.
Un'operazione, quella della Mobile, che aveva squarciato il velo sulla rete di illegalità che attrae nell'ombra i migranti in attesa di asilo nei centri di accoglienza. E sul senso di insicurezza e di rabbia che rischia di compromettere il consenso della presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani. Ieri la vice segretaria dei dem in una lettera al ministro dell'Interno Marco Minniti ha messo in allerta su possibili «reazioni inattese» in una regione «tranquilla» ma esasperata da una convivenza difficile.
«Si sta delineando un clima di allarme sociale legato al susseguirsi di fatti di cronaca che vedono troppo spesso al centro cittadini stranieri e che rendono sempre più diffuso un sentimento di paura e incertezza», ha scritto chiedendo «tutte le misure più opportune per arginare il montare di un clima sociale che sta trasformando il disagio in rabbia». Come «l'avvio di rimpatri, che potrebbero avere un significato simbolico e deterrente soprattutto nei confronti degli elementi meno integrati».
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