La triste fine di Brescello: Peppone a casa per mafia

Il Comune famoso per l'epopea di Guareschi sciolto dal Viminale Le accuse al sindaco di centrosinistra. Il parroco: «Siamo distrutti»

«B rescello visto da destra è il paese di Don Camillo, visto da sinistra è il paese di Peppone, visto dall'alto è il paese della gente che litiga senza mai essere nemici, tanto che la coscienza ha sempre l'ultima parola». Quel mondo piccolo disegnato da Giovannino Guareschi, con le schermaglie bonarie tra il sindaco trinariciuto e il parroco filo Dc che gli prescrive quindicimila Pater noster per emendarsi dal peccato comunista, rischia di barattare la fama di «paese di Peppone e Don Camillo» (c'è pure un museo della saga, e le due statue in bronzo che ancora si fronteggiano nella piazza centrale) con un'altra meno appagante: primo Comune sciolto per mafia in Emilia Romagna.

Brescello, set dei film con Gino Cervi (nei panni di Peppone) e Fernandel, che arrivava ogni mattina in Cadillac dal suo albergo e recitava le scene in francese, sull'epopea di Guareschi ci ha costruito anche un discreto business da 40mila turisti l'anno (i luoghi del set, i cimeli, i menù a tema dei ristoranti locali) e ha guadagnato «visibilità nazionale e anche internazionale» altrimenti impossibli per un paesello di 5mila anime nella terra piatta del Po, come spiegò appena eletto l'erede di Peppone, il giovane sindaco (a capo di una civica sostenuta dal Pd) Marcello Coffrini. Il quale, poche settimane fa, si è dimesso, in previsione del decreto poi puntualmente arrivato dal Consiglio dei ministri, scioglimento dell'amministrazione comunale per infiltrazione mafiosa.

Dal sindaco Peppone diviso tra sezione locale Pci, amministrazione modello e officina meccanica, al Comune sempre di sinistra ma in odore di 'ndrangheta, altro che baruffe col parroco democristiano e dispute su chi sia più dalla parte dei poveri, il cristianesimo o il compagno Stalin.

Coffrini (non indagato) ha scatenato una putiferio per le sue parole su Francesco Grande Aracri, boss della più potente 'ndrina attiva in Emilia (condannato per associazione mafiosa), da lui definito una persona «gentilissima, è uno molto tranquillo... è molto composto, educato, ha sempre vissuto a basso livello. Hanno un'azienda... con cui fanno i marmi... mi fa piacere che siano riusciti a ripartire». Ora l'ex sindaco si rammarica per la decisione del Viminale: «Ho la coscienza a posto, sono sicuro del mio operato e di quello di mio padre», Ermes Coffrini, sindaco di Brescello prima del figlio, avvocato che tra i suoi clienti ha avuto Francesco e Antonio Grande Aracri.

Al dialetto emiliano («Bersèl», dicono i vecchi) si è aggiunto il calabrese, alla vita rurale di Peppone e Don Camillo i traffici delle cosche. «Paghiamo la nostra notorietà, la gente è avvilita, si sente messa sotto accusa in maniera non giusta. Il paese è distrutto. Rialzarsi e vedere il futuro sarà difficile» lamenta il parroco di Brescello, don Evandro Gherardi, novello Don Camillo. «Quello che contesto non è la presenza della mafia a Brescello, ma definire Brescello un paese mafioso. Brescello è famoso e forse viene usato per raggiungere altri obiettivi di carriere ed economici». Il paese è sotto osservazione giudiziaria da diversi anni. Nel 2007 la Direzione nazionale antimafia parla di «forte radicamento di affiliati alle aggregazioni mafiose di Cutro e Isola di Capo Rizzuto».

Non è un caso se a Brescello c'è un quartiere noto come «Cutrello» (e proprio a Cutro si recò anche l'attuale ministro Graziano Delrio, prima di essere eletto sindaco di Reggio Emilia). Poi è arrivata l'inchiesta «AEmilia» che ha scoperchiato la rete dell'ndrangheta e gli interessi dei Grandi Aracri in diversi comuni, tra cui anche Brescello. Chissà cosa direbbe il sindaco Peppone.

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