Magistratura

La triste fine del Consiglio dei veleni

"È stata una consiliatura complessa", dice il capo dello Stato Sergio Mattarella, usando un bizantinismo linguistico scovato nel dizionario della Prima Repubblica

La triste fine del Consiglio dei veleni

«È stata una consiliatura complessa», dice il capo dello Stato Sergio Mattarella, usando un bizantinismo linguistico scovato nel dizionario della Prima Repubblica. La verità è che al commiato del peggior Csm degli ultimi anni il più felice era lui: un po' come quando un ospite indesiderato se ne va, sempre troppo tardi. Di questo organo di autogoverno della magistratura se ne parlerà a lungo, sui libri di storia e nelle aule giudiziarie. Non solo per i cinque mesi di prorogatio forzata, né per il silenzioso braccio di ferro con il Quirinale sull'applicazione della riforma Cartabia, quanto per l'uso spregiudicato di alcune inchieste. È stato il Csm degli «imbarazzanti silenzi» e delle «inescusabili omissioni», per usare le durissime le parole del gup di Roma Nicolò Marino, che ha chiesto alla Procura della Capitale di indagare sugli ormai ex consiglieri Giuseppe Cascini e Giuseppe Marra, come si legge nelle motivazioni della sentenza con cui il 15 dicembre scorso è stata prosciolta la segretaria di Piercamillo Davigo, Marcella Contrafatto per i verbali milanesi del caso Eni-Amara incautamente passati di mano, in modo carbonaro, in spregio a qualsiasi garanzia. Per tacere dei veleni tra gli ex amici Davigo e Sebastiano Ardita o dell'uso strumentale di intercettazioni, considerate illegittime e inutilizzabili penalmente ma tornate improvvisamente buone per mettere alla porta magistrati scomodi e spiarne persino i legali.

«Sono convinto che oggi sia stata scritta la pagina finale del festival della ipocrisia e che i procedimenti giudiziari in corso e quelli che verranno intentati nei confronti di alcuni consiglieri uscenti meglio riusciranno a disvelare lo spaccato di questo quadriennio. Il tempo è galantuomo», si lascia sfuggire l'ex leader Anm Luca Palamara.

Chissà se il vicepresidente uscente David Ermini, nel suo discorso di commiato, avrà ripensato alle cene che hanno preceduto la sua elezione, oppure ai voltafaccia riservati a quei consiglieri che con lui avevano iniziato il percorso consiliare e che poi sono stati costretti a dimettersi per vanificare la nomina alla Procura di Roma di Marcello Viola (oggi fortunatamente a Milano). E chissà se l'ex renziano avrà ripensato a quei verbali della Loggia Ungheria finiti nel cestino, o a quei cellulari spariti prima della famigerata congiura di Palazzo raccontata magnificamente da un giudice in una sentenza della Repubblica italiana. In passato i veleni di Palazzo de' Marescialli furono fatali a Giovanni Falcone, vittima della sinistra giudiziaria prima ancora che della mafia, vedi il pizzino via Unità del togato rosso Alessandro Pizzorusso.

Oggi gli emuli di quella scuola forcaiola tornano a popolare le aule del Csm, ma di Falcone (per fortuna o purtroppo) ci sono rimaste solo pallide imitazioni.

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