Trivelle, Verdini, Etruria Quei tre vicoli ciechi che paralizzano Renzi

La minoranza dem prepara la polpetta del dopo Pasqua. E il premier si riunisce col guru Messina per studiare un piano

Trivelle, Verdini, Etruria Quei tre vicoli ciechi che paralizzano Renzi

Roma - Prima la strage di ragazze italiane sull'autostrada spagnola, poi gli attentati di Bruxelles: la famosa «resa dei conti» nel Pd sul referendum no-triv, sul caso Verdini e sulle prossime amministrative è pressoché scomparsa dai radar.La direzione del partito, prevista la settimana scorsa, è stata rinviata al 4 aprile prossimo, e nel frattempo gli eventi e l'allarme mondiale sul terrorismo hanno reso, per così dire, ancor meno centrali di quanto lo fossero prima le paturnie della minoranza Pd e le crisi di visibilità di alcuni ras locali, come l'iperattivo presidente della Puglia Michele Emiliano, in grande agitazione pro-referendum. Il rinvio, però, stempererà inevitabilmente la verve della fronda. E comunque Renzi e i suoi sono ben convinti di andare all'attacco contro la «demagogia» di chi propaganda le ragioni del sì trasformando un quesito del tutto inutile in un tentativo di spallata contro il governo. Del resto, spiega anche un esponente della minoranza come Francesco Boccia, «questo referendum è una sciocchezza, una perdita di tempo e di denaro con cui si raggira il cittadino: se fosse stato per evitare nuove trivellazioni avrei votato a favore, ma non è così perché il governo le ha già fermate: bisognerebbe dire la verità e cioè che non ci saranno nuove perforazioni». In verità, il referendum che sta a cuore al premier non è certo quello, del tutto ininfluente ai fini pratici e ambientali, sulle trivelle. Renzi sta già guardando alla battaglia d'autunno, quando si terrà la consultazione sulla riforma costituzionale. Qualche giorno fa si è tenuta nella sede Pd del Nazareno la prima riunione operativa con Jim Messina, già capo della campagna elettorale di Obama nel 2012, e scelto da Renzi come consulente in vista del referendum. La campagna pro-riforme inizierà subito dopo l'ultimo passaggio del ddl Boschi in Parlamento, a metà aprile: i comitati per il sì sono già in via di formazione.La minoranza Pd è in difficoltà rispetto all'appuntamento: schierarsi per il no, dopo aver votato la riforma, vorrebbe dire mettersi fuori dal Pd. Per ora ci si limita ad intimare a Renzi, come ha fatto Bersani, di non trasformare il referendum in un «plebiscito» pro o contro il governo, o a porre condizioni più o meno fantasiose per il proprio appoggio. Poi partirà la polemica contro i «compagni di viaggio» che la fronda anti-renziana non vuole, a cominciare dal solito Verdini, visto che il Pd punta ad allargare i comitati a tutte le forze che si sono impegnate in Parlamento sul ddl Boschi. La gestione della partita è già stata affidata al ministro delle Riforme. Peserà naturalmente l'esito delle amministrative, con il Pd impegnato a conquistare Milano, Bologna e Torino e a recuperare terreno a Napoli e Roma. Ma peseranno anche le vicende che, partendo dal caso di Banca Etruria, assediano il volto simbolo del governo.

La Boschi dovrà probabilmente affrontare una nuova mozione di sfiducia (del tutto identica a quella già respinta), promossa dai Cinque Stelle per ravvivare la propria campagna elettorale. E intanto il padre del ministro, secondo Il Fatto, rischia il pignoramento di alcuni beni, case incluse.

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