«Troppe resistenze, la gente va istruita»

«Equivalenti e biosimilari hanno fatto risparmiare oltre 4 miliardi di euro dal 2000 ad oggi ma quei soldi devono rimanere nel settore ed essere riutilizzati per allargare la platea dei pazienti». L'appello di Enrique Häusermann, presidente di Assogenerici, è accorato. In Italia, il mercato dei generici, nonostante la loro fondatezza scientifica inattaccabile, fatica a sfondare e questo crea uno squilibrio dei costi nei servizi sanitari. «Se non si inverte la rotta – aggiunge - non si potrà ampliare l'accesso alle cure dei pazienti o a coprire i costi dei nuovi farmaci che arriveranno sul mercato».

Dottor Häusermann, la quota dei medicinali equivalenti usata in Italia è del 20% circa, molto meno di quella degli altri paesi europei. Come spiega questo ritardo?

«Ci sono diversi motivi. Il medico, per esempio, ha la facoltà di non prescrivere il generico per ragioni di continuità terapeutica. Inoltre il cittadino spesso non sa che c'è l'equivalente: spetta al farmacista spiegare che esiste il generico che contiene lo stesso principio attivo ma costa meno».

Però restano ancora tanti clienti che vogliono la scatolina colorata con la marca famosa.

«Purtroppo c'è ancora molta diffidenza anche se è soprattutto il paziente anziano, politrattato, che preferisce spendere di più: per lui il farmaco rappresenta sicurezza e abitudine».

Quanto costa al cittadino la differenza tra il farmaco rimborsato dal Ssn e quello di marca?

«Circa 900 milioni secondo l'Osmed. In pratica possiamo stimare che un anziano paga di tasca sua dai 10 ai 15 euro al mese».

E che succede negli ospedali?

«Qui devono ancora entrare nella pratica medica i biosimilari: contengono i principi attivi dei farmaci biologici, hanno la stessa efficacia terapeutica, ma costano 30-40% in meno».

Perché questa diffidenza?

«Alcuni sostengono che non ci sarebbe equivalenza terapeutica e sicurezza nell'uso».

Be' si gioca sulla pelle dei malati.

«Certamente, ma questi prodotti sono approvati dall'Agenzia del farmaco europeo e sono certificati in tutta la Ue. Il medico tedesco e inglese utilizza questi farmaci con successo, in Italia invece non avviene la stessa cosa, ma le patologie e i pazienti non cambiano tra un paese e l'altro».

Che ruolo giocano le case farmaceutiche in questo caso?

«C'è sicuramente una pressione delle case originatrici che crea una barriera d'accesso ai biosimilari ma anche ai generici».

Per i biosimilari quanto incide la disinformazione della classe medica?

«Esiste piuttosto una barriera culturale che va abbattuta. Il medico a cui viene proposto ha tempi decisionali lunghissimi. E questo provoca un rallentamento dannoso per il sistema e per i pazienti».

Perché è dannoso anche per i pazienti?

«Se i farmaci costano meno, una asl ne può acquistare di più e quindi distribuirlo ad una platea più vasta».

Quanti biosimilari esistono in commercio?

«Adesso ce ne sono tre. La quota di mercato è variabile, ma siamo molto in ritardo».

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