RomaSecondo rinvio in tre giorni per il decreto legge antiterrorismo che potenzierà le misure punitive nei confronti dell'eversione islamista. Il Consiglio dei ministri, che ieri avrebbe dovuto licenziare il provvedimento, è stato spostato a mercoledì 28 gennaio.
Secondo fonti di Palazzo Chigi, i problemi sarebbero relativi al rifinanziamento delle missioni internazionali, che, per comodità, è stato accorpato al testo. In realtà, ci sono anche altre questioni di natura economica e politica che hanno frenato il varo del decreto che dovrebbe rendere ancor più incisiva l'azione di contrasto al terrorismo islamico. In primo luogo, il reperimento dei 60 milioni per riportare a 5mila unità il contingente di «Strade Sicure» che vede l'Esercito coinvolto nel pattugliamento delle aree urbane in modo da consentire alle forze dell'ordine (Carabinieri e Polizia) di avere minori incombenze e di poter contrastare meglio il crimine. La spending review aveva ridotto la dotazione, ora il governo farà retromarcia. Non senza qualche mal di pancia di chi - a sinistra - ha, per natura, in antipatia i militari.
Il secondo intoppo è ancor più politico. Il decreto stanzierà risorse destinate ai servizi di intelligence sia per nuove assunzioni di esperti sia per l'acquisto di macchinari moderni per le intercettazioni. Gli ostacoli finanziari (il budget dei servizi segreti è fermo a circa 600 milioni di euro) sono però secondari rispetto a quelli giuridici: è in via di definizione un allargamento delle cosiddette «garanzie funzionali» riconosciute agli agenti segreti. Allo scopo di contrastare il terrorismo islamico dovrebbe essere estesa, previa autorizzazione, non solo la possibilità di commettere alcuni reati contro la persona ma, per la prima volta, dovrebbe essere riconosciuta ai funzionari la possibilità di andare eventualmente sotto processo mantenendo il finto nome per non perdere la «copertura» (modalità oggi non prevista).
Proprio questa innovazione è stata oggetto di un vivacissimo dibattito nelle audizioni al Copasir del capo del Dis, Giampiero Massolo, e del sottosegretario all'Interno, Marco Minniti (vero estensore delle norme). Anche in questo caso, i rigurgiti antioccidentali di una certa sinistra hanno ricordato, stigmatizzandolo, il caso Abu Omar.
Nessuna difficoltà, infine, dovrebbero incontrare le misure predisposte dal ministro dell'Interno, Angelino Alfano, per contrastare i foreign fighters : pene detentive fino a 10 anni per i combattenti che si recano all'estero, sorveglianza speciale, obbligo di soggiorno e ritiro del passaporto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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