Dilemmi a sinistra. Nel corridoio dei passi perduti di Montecitorio, Andrea Orlando, uomo forte della segreteria Zingaretti, mentre parla della legge elettorale si cala nei panni dell'Amleto del to be or not to be... «Non possiamo - spiega - mollare sul proporzionale se non sappiamo dove si va a finire. Bisogna vedere le prospettive dell'alleanza con i 5stelle. Anche se non è per nulla detto che diventi strutturale». Nel Transatlantico di Montecitorio, invece, il capogruppo Graziano Delrio ha meno dubbi. «Certo - osserva - la discussione nel partito è aperta, ma immaginare che l'alleanza con i 5stelle diventi strutturale è un'illusione, o peggio, un atto di arroganza intellettuale. Per cui se scegliamo il maggioritario Salvini ha già bello e pronto il soggetto, lo schieramento con cui andare in lizza, cioè il polo sovranista; noi no! È quello che sto tentando di spiegare a Prodi».
Mentre nel Pd si trastullano sul dilemma «proporzionale sì proporzionale no» alimentato dall'accordo con i 5stelle sulle elezioni in Umbria e dalla scissione di Italia viva, i due duellanti della politica italiana, cioè Salvini e Renzi, badano al sodo e preparano le truppe in Parlamento per la madre di tutte le battaglie. Del resto il fischio d'inizio delle grandi manovre l'ha dato la Camera, che ha fissato la data (8 ottobre) in cui sarà approvata in via definitiva la riduzione dei parlamentari. Una decisione che ha messo automaticamente all'ordine del giorno la legge elettorale. Così la sfida all'0k Corral è cominciata. «Noi - teorizzava ieri Giancarlo Giorgetti, stratega del Carroccio - li abbiamo presi in contropiede con i referendum. E ora giochiamo. Se riusciamo ad avere cinque Regioni dalla nostra parte entro il 30 settembre ne vedremo delle belle. Oggi la Lombardia ha detto sì». Ma a parte il referendum, su cui pesa la spada di Damocle della Consulta, lo scontro decisivo si svolgerà in Parlamento. «Salvini è terrorizzato - confida il piddino Emanuele Fiano, sottosegretario all'Interno - le tenterà tutte». E, infatti, il leader del Carroccio ha dato il via alla campagna acquisti dei grillini: «Ci sono 5stelle che sono a disagio nel governo giallorosso. Una condizione di sofferenza che sarà palesata a sorpresa con dei passaggi verso la Lega». Un fenomeno di cui l'altro duellante, Matteo R, è a conoscenza, tant'è che ha informato i suoi di un'ondata migratoria di senso contrario: «Io non voglio rompere le scatole a Di Maio, ma se Salvini vuole accaparrarsi dei parlamentari grillini, allora competition is competitition, sono pronto ad accogliere quelli che bussano alla nostra porta». E per essere più diretto ai suoi ha sciorinato un elenco di dieci nomi. Poi ci sono anche quelli di Forza Italia, ma questa è un'altra storia.
Lo scontro tra Matteo R e Matteo S è in atto, chiaro e trasparente, mentre tra gli altri c'è chi immagina di avere in mano alternative tutte da verificare. Una forma, appunto, di «arroganza», intellettuale e politica, che è un tratto distintivo di tutta l'attuale classe dirigente. Un atteggiamento che ha cadenzato le svolte politiche degli ultimi anni. Il 27 giugno del 2017, ad esempio, un Matteo Renzi deluso perché il Quirinale non gli concedeva il voto, in una telefonata con Salvini aprì la strada all'attuale legge elettorale, quel Rosatellum che già allora sembrava fatto a pennello per il leader leghista. «Tanto vinco lo stesso», disse all'epoca l'ex segretario del Pd: poi si è visto com'è finita. Un peccato di arroganza, magari ancor più grave, è stato quello di Salvini di quest'estate: immaginare che un patto per le urne con Zingaretti, che sarebbe andato incontro ad una sconfitta scontata, fosse fattibile, equivale all'illusione di qualche superuomo che immagina di gettarsi da una grattacielo sicuro di avere le ali. «C'è un'unica spiegazione - sospira un leghista come l'ex sottosegretario Guglielmo Picchi -: aveva alzato troppo il gomito». E ora l'arroganza ha contagiato Zingaretti, tornato al governo senza volerlo, con i suoi dubbi sul proporzionale e il sogno di un nuovo Ulivo che rischia di rivelarsi un Salice piangente. Dubbi che, però, stringi stringi, sono in realtà figli dello stesso sentimento che lo aveva portato mesi fa a caldeggiare l'ipotesi elettorale. Quale? «La fobia nei confronti di Renzi e dei renziani», osservano su sponde opposte il piddino Fiano e Nico Stumpo di Liberi e uguali. «Il solito atteggiamento arrogante - sentenzia Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana - di chi si illude di dare le carte: hanno il miraggio dell'alleanza strutturale con i grillini, ma al massimo potranno stabilizzare il rapporto con una parte di loro. Ipotesi impossibile senza il proporzionale». Senza contare, poi, che chi dentro il marasma grillino punta ad un'alleanza strategica con il Pd, punta al superamento del Pd. «C'è un gruppo di parlamentari grillini, me compreso, - teorizza Giorgio Trizzino, grillino, già medico della famiglia Mattarella con buone entrature al Quirinale - pronto ad appoggiare Conte sempre e comunque, anche nel caso che Di Maio cambi atteggiamento e torni ad affacciarsi dal balcone. Conte è il nuovo Prodi, sul suo nome potrebbe crearsi un schieramento progressista in cui Pd e 5stelle potrebbero sciogliersi».
Si tratti di sogni o di obiettivi velleitari, anche questa ha l'aria di essere una formula che rischia di non avere i piedi piantati per terra. E a volte anche guardare troppo in là, lanciando il cuore oltre l'ostacolo, tradisce un atteggiamento arrogante. Come pecca di «arroganza» di converso, chi gioca la partita stando fermo, nella convinzione di essere, comunque, insostituibile o centrale. È il pendolo di Forza Italia che divisa sul tipo di rapporto da instaurare con la Lega, è divisa anche sulla legge elettorale da appoggiare. Risultato: ai consiglieri regionali che dovevano assumere una posizione sul referendum proposto dalla Lega, martedì sera è arrivata l'indicazione per l'astensione, poi dodici ore dopo, ieri mattina, su pressione di Salvini, quella per la libertà di voto. «Sestino - è l'sms che il coordinatore del Veneto, Davide Bendinelli, ha recapitato al consigliere del Cav, Giacomoni - noi siamo come Garibaldi, rispondiamo: obbedisco! Ma se cambiamo posizione ogni dodici ore, rischiamo di scordarci quello che abbiamo detto il giorno prima!!!».
Cose che capitano, in una fase politica convulsa, dove i cambi di campo o di casacca sono all'ordine del giorno e improvvisi. Magari intervallati, appunto, da dodici ore. L'altra sera quando l'ex presidente della Camera, Boldrini, ha deciso di aderire al Pd con un'intervista a Repubblica, ha tentato invano di avvertire in anticipo Nicola Zingaretti della sua scelta.
Non trovandolo, ha rivolto una preghiera al telefono ad Andrea Orlando: «Non riesco a mettermi in contatto con Nicola, puoi metterlo al corrente prima che l'intervista esca». Orlando, però, ha visto bene di farlo solo le fatidiche 12 ore dopo, spiegandone, con una battuta, la ragione agli amici: «Non volevo rovinare la serata a Nicola!».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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