È a coazione a ripetere della politica economica italiana: le ricette, alla fine, sono sempre le stesse e nemmeno il premier rottamatore sembra in grado di rompere la routine. Ogni volta che si devono trovare risorse per tappare buchi di bilancio o per finanziare una misura, prima si promettono riforme radicali e strutturali, poi si passa a tagli lineari alla spesa dei ministeri e alla fine si va a parare sugli aumenti delle imposte. L'ultima ipotesi che circola tra i palazzi del governo e quelli europei è un classico che appartiene a questa ultima fattispecie: l'aumento dell'Iva.
Quelli decisi dai precedenti governi (nel giro di tre anni l'aliquota ordinaria è passata dal 20 per cento al 22%), hanno incassato tante critiche e scarsissimi risultati in termini di entrate extra, perché hanno contribuito alla contrazione dei consumi. Ma dalla Commissione europea - ha riferito ieri il quotidiano Il Messaggero - è in atto un pressing nei confronti del governo di Matteo Renzi affinché ritocchi verso l'alto le uniche aliquote che non sono cambiate. Cioè quella super agevolata al 4% - applicata ad esempio a beni di prima necessità come il pane - e quella intermedia al 10% che riguarda altri alimentari e il settore del turismo e della ristorazione.
Le ipotesi che circolano (per la verità già ai tempi dei governi Letta e Monti) è portare le due aliquote rispettivamente al 5% e all'11%. Oppure spostare alcune categorie di beni da una aliquota a quella superiore. Ma sono soluzioni che danno pochi soldi e quindi fa capolino di nuovo un aumento generalizzato, che comprende anche l'aliquota ordinaria. Oggi è al 22% e potrebbe passare al 23%.
Ipotesi tecniche. Di quelle che escono dalla Ragioneria generale dello Stato, magari mascherate da «clausola di salvaguardia» di riforme impossibili. Come la sempreverde riorganizzazione delle agevolazioni fiscali, che viene annunciata da circa dieci anni.
Ieri dal governo non sono arrivate smentite. Ma si sono fatti sentire i commercianti, spaventati dalle nuove indiscrezioni. «Con imprese che chiudono, deflazione in atto, consumi fermi al palo, produzione industriale ancora in caduta, redditi delle famiglie tornati al 1986, un quadro economico ancora molto contraddittorio e una ripresa ancora tutta da costruire - ha osservato ieri Confcommercio - l'eventuale aumento dell'Iva sarebbe il colpo di grazia per imprese e famiglie».
Stessa analisi da Confesercenti: «Anche se si trattasse di uno spostamento selettivo di beni dalle aliquote più basse, quelle del 4% e del 10%, un'ulteriore caduta dei consumi sarebbe inevitabile». Con un nuovo aumento emergerebbe un enorme problema di equità, segnala la Cgia di Mestre. L'aumento dell'iva «colpirebbe soprattutto le famiglie meno abbienti e le aziende che producono per il mercato interno».
Contrari, sul fronte politico, il Nuovo centrodestra e Forza Italia, ma anche alcuni esponenti del Pd e del governo, pronti a scommettere che alla fine nessuno avrà il coraggio di aumentare l'Iva. Anche perché, se i benefici di un altro scatto dell'imposta sono tutti da dimostrare, le controindicazioni sono tante e conosciute. Nel 2013 i consumi sono calati del 2,5% e tra le cause c'è anche l'aumento delle imposte. Male anche il bilancio per le casse dello Stato, visto che nello stesso anno il gettito dell'imposta è calato del 2,7%.
Il ritocco dell'Iva, al massimo, permette di mettere a bilancio per l'anno successivo un aumento di gettito del tutto teorico, destinato a essere smentito alla prova dei fatti. Uno di quei trucchetti ai quali l'Italia, ed evidentemente anche l'Europa, non riesce a rinunciare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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