Roma Cyber crimine, malware, phishing o semplicemente truffe. Solo nell'anno appena passato i raggiri online hanno superato i 38 milioni di euro di cui 9 milioni recuperati e restituiti. Non solo. Attraverso indagini in rete gli investigatori hanno arrestato 43 pedofili e denunciate ben 532 persone sempre per lo stesso reato. I dati del cyber terrorismo, poi, sono ancora più inquietanti, soprattutto se la jihad passa attraverso i social: WhatsApp e Instagram in prima fila.
I dati diffusi dal Viminale sull'attività svolta in questo 2018 dalla polizia postale e delle comunicazioni fanno rabbrividire. I cyber criminali, tanto per cominciare, hanno raddoppiato, rispetto al 2017, gli attacchi alle infrastrutture critiche nazionali che sono arrivate a contare i 55mila alert di sicurezza. Fra questi ben 442 attacchi informatici contro siti istituzionali e infrastrutture di interesse nazionale. Quindici gli arresti nell'ambito di 68 indagini. Una di queste, in collaborazione con la polizia olandese, ha spedito in carcere un 28enne di Cosenza, accusato di intercettazione, impedimento, interruzione illecita di comunicazioni informatiche. In aumento, purtroppo, le truffe via internet: 3.355 le persone denunciate e 39 arrestate, sequestrati 22mila e 600 spazi virtuali, 160mila segnalazioni di truffe o tentate truffe. Anche il settore delle frodi assicurative ha dato il filo da torcere ai cyber agenti, soprattutto per la creazione di falsi portali spesso con riproduzioni di pagine web di compagnie vere. Il trucco? Promuovere polizze temporanee, ovviamente false e a buon mercato, attraverso broker mai iscritti al registro degli intermediari assicurativi. Truffatori allo stato puro insomma. Per quanto riguarda la pedofilia, il reato senza dubbio più odioso, gli agenti delle comunicazioni non hanno dato tregua a quanti hanno diffuso, manipolato, scambiato foto e filmati su minori. La questura mette in evidenza l'operazione «Ontario», 4 arresti, 22 perquisizioni, 18 denunce in stato di libertà e l'operazione «Safe Friend», due arresti, 15 perquisizioni e 213 denunciati. Gli agenti, spesso sotto copertura, hanno inserito in una black list oltre duemila siti internet sui 33mila monitorati. Un lavoro enorme per tutelare i bambini e che impegna, 24 ore al giorno, migliaia di poliziotti. Dai siti internet ai social meno sicuri: cambia anche il modo di diffondere la «guerra santa» per i terroristi islamici. La propaganda jihadista, soprattutto il reclutamento dei foreign fighters, passa per WhatsApp, Telegram e Instagram. Grazie a questi social, sempre secondo i dati della polizia postale, un minore algerino di seconda generazione si era radicalizzato all'insaputa della famiglia.
Telegram, in particolare, fornendo un grado di anonimato elevato, veicola la maggior parte di contenuti illeciti da parte di ambienti filo-jihadisti. Basta creare un profilo di copertura e iniziare la campagna di proselitismo. Come? Pubblicando messaggi, immagini, video, infografiche e audio di propaganda rivolti ai «lupi solitari».
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