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Trump lancia l'esca a Londra. Ora l'Ue si scopre più debole

Il presidente Usa: "Sì a un grande accordo commerciale". Bruxelles teme il braccio di ferro. E il rischio "deregulation"

Trump lancia l'esca a Londra. Ora l'Ue si scopre più debole

Eleggendo plebiscitariamente Boris Johnson i britannici hanno votato una seconda volta per la Brexit. Il Regno Unito prenderà la sua strada solitaria il prossimo 31 gennaio, dicendo addio all'Ue. È una svolta che fa chiarezza dopo tre anni e mezzo di inconcludenti negoziati e passaggi politici penosi. Una svolta festeggiata dai mercati internazionali con rialzi delle Borse e della sterlina. Assai presto, dunque, Londra sarà nuovamente un soggetto anche economico autonomo, e il suo mercato torna a far gola a molti. Donald Trump si è precipitato a gettare al suo amatissimo «BoJo» un amo intinto nel miele: gli Stati Uniti, assicurava il presidente twittando dalla Casa Bianca, sono prontissimi a offrire ai britannici un accordo di libero scambio «ben più ampio e redditizio» di quello che Londra potrebbe ottenere dall'Europa che ha appena abbandonato, ma con la quale ovviamente continuerà a commerciare. Nei giorni precedenti le elezioni britanniche, del resto, da Bruxelles trapelava una chiara preferenza per una vittoria dei conservatori, che significava gradimento per una situazione politica delineata, tale da spianare la via a negoziati fruttuosi in un nuovo contesto.

Il braccio di ferro tra Washington e Bruxelles, insomma, comincia in anticipo sul 1° febbraio, data in cui potranno essere avviati i colloqui formali commerciali con il Regno Unito. In realtà i tempi saranno più lunghi: in base ai trattati, dopo che la Brexit sarà stata formalizzata vi sarà un successivo periodo di transizione, che durerà fino alla fine del 2020, nel corso del quale Londra potrà negoziare intese economiche con Paesi extra-Ue, ma non ancora ratificarli. Sarà un tempo che il premier britannico dovrà utilizzare al meglio.

I funzionari del governo di Londra sono consapevoli della forte concorrenza di interessi tra Europa e America, e si rendono conto che la tensione tra i due soggetti legata al comune obiettivo di conquistare accordi commerciali vantaggiosi con il Regno Unito costituirà un punto fondamentale della futura relazione con Bruxelles. Bisogna comprendere che, anche se Londra ha deciso di abbandonare l'Ue, questo non significa che intenda rinunciare ai vantaggi di una buona intesa commerciale e non solo con l'Europa. E perfino Johnson, con tutta la sua vicinanza politica con Trump, sa di dover fare molta attenzione nel negoziare un accordo con un personaggio che quando offre «accordi vantaggiosi» pensa in primo luogo ai vantaggi per gli Stati Uniti, senza dimenticare che rappresenta la maggior potenza economica mondiale, grosso modo equivalente a quella dei 27 Paesi dell'Ue messi insieme e ben superiore a quella del Regno Unito da solo.

Il premier britannico, insomma, percorre una strada rischiosa, e la complessa gestione di questo rischio sarà al centro del suo lavoro politico nel 2020 che sta per cominciare. Anche Bruxelles, però, ha le sue preoccupazioni. Teme soprattutto che Johnson, invece di puntare a compromessi per facilitare i negoziati per l'area di libero scambio con l'Ue, possa scegliere di giocare duro.

Una spregiudicata deregulation con ribassi fiscali trasformerebbe Londra come ha scritto Anand Menon sul Financial Times in una Singapore sul Tamigi: una temibilissima concorrente e una minaccia per l'intero mercato europeo.

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