New York «Mission accomplished», missione compiuta. La mattina seguente all'attacco in Siria, il presidente americano Donald Trump si è sbilanciato sul risultato dell'operazione condotta di concerto con Francia e Regno Unito, facendo scoppiare l'ennesima polemica e scatenando l'ironia dei detrattori. Secondo i quali sarebbe stato meglio non usare quell'espressione, che in passato non ha portato fortuna. «L'attacco è stato eseguito perfettamente, non avremmo potuto avere risultato migliore. Missione compiuta», ha scritto il presidente americano su Twitter. Parole che ieri ha difeso con forza: «Il raid in Siria è stato compiuto in modo così perfetto, con tale precisione, che l'unico modo in cui i mezzi di informazione che diffondono fake news potevano sminuirlo è stato con il mio uso del termine missione compiuta». «Sapevo che si sarebbero aggrappati a questo, ma sentivo la portata di questo termine militare, un termine che dovrebbe tornare in auge. Usatelo spesso!», ha aggiunto. Inevitabile, però, è stato ripensare a quando quell'espressione fu usata dal suo predecessore George W. Bush, l'1 maggio 2003. Dal ponte della portaerei USS Abraham Lincoln, Bush annunciò «la conclusione delle principali operazioni in Irak»: alle sue spalle, uno striscione con la scritta «missione compiuta» sulla bandiera a stelle e strisce. Una dichiarazione disattesa dai fatti negli anni successivi, che la trasformarono in una maledizione. Anche l'ex presidente Barack Obama, nel 2014, ha parlato di mission accomplished sull'Afghanistan, assicurando il ritiro di tutte le truppe Usa entro il 2016, e pure allora non ha portato fortuna, visto che le operazioni sono ancora in corso.
La frase di Trump, quindi, è parsa a molti una scelta discutibile, oltre che un assist ai critici, a maggior ragione vista la complessità della situazione in Siria. Per il senatore del Maine Angus King «è impossibile dire ora se l'azione ha davvero avuto successo»: «Speriamo sia così, ma abbiamo fatto un raid un anno fa contro l'uso delle armi chimiche che è stato considerato un successo, e tali agenti continuano ad essere utilizzati». Il capo del Pentagono Jim Mattis, d'altronde, pur definendo l'attacco un «one time shot», un'azione unica, ha detto che potranno seguirne altri se Damasco farà nuovamente ricorso ai gas. E l'ambasciatrice all'Onu Nikki Haley, fedelissima di Trump, ha minacciato senza mezzi termini: «Abbiamo dato alla diplomazia occasioni su occasioni. Ora il tempo delle parole è finito, e se la Siria userà ancora i gas gli Stati Uniti hanno il colpo in canna e sono pronti a sparare».
Ieri Haley ha spiegato anche che l'amministrazione Usa è pronta a colpire la Russia con «nuove sanzioni», dopo aver accusato Mosca di alimentare le tensioni con Washington e di non fare nulla per evitare che il regime di Assad usi armi chimiche.
«Il segretario al Tesoro Mnuchin le annuncerà probabilmente lunedì - ha detto - Colpiranno direttamente quelle società russe che hanno a che fare con la fornitura di equipaggiamenti ed attrezzature legate all'uso di armi chimiche da parte del regime di Assad». «Vogliamo mandare un messaggio forte - ha aggiunto - speriamo che stavolta ci ascoltino». Spiegando poi che gli Stati Uniti non ritireranno le truppe dalla Siria fino a quando non raggiungeranno i loro obiettivi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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