Trump-Zelensky, ora tocca all'Ucraina

Il colloquio: "Donald porti la pace a Kiev". I temi: difese aeree e missili a lungo raggio

Trump-Zelensky, ora tocca all'Ucraina
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"If you stop the war in Gaza, you can do the same with Moscow". Se la guerra tra Israele e Hamas è stata fermata, allora anche per l'Ucraina ci sono speranze. È questa la frase più importante, e ad effetto, della telefonata di Zelensky a Trump. Trenta minuti di colloquio che restituiscono forse un'immagine inedita del leader di Kiev: quella di un presidente disposto a parlare non solo di armi, ma anche di pace. Zelensky ha definito la chiamata "molto positiva e produttiva". Parole che, nel linguaggio asciutto della diplomazia, suonano come un'apertura. Il presidente ucraino si è congratulato con Trump per l'accordo di pace raggiunto in Medioriente tra Israele e Hamas, un successo che l'inquilino della Casa Bianca ha rivendicato come "la prova che anche i conflitti più incancreniti possono essere fermati". E Zelensky, agganciandosi proprio a quel messaggio, ha rilanciato: "Adesso occupiamoci dell'Ucraina".

Dietro a mille possibili sfumature si intravede un segnale politico preciso: Kiev non rinuncia alla difesa, ma apre anche al dialogo. Il leader ucraino ha informato il tycoon degli attacchi russi ai sistemi energetici, apprezzando la disponibilità americana a sostenerne la difesa aerea e parlando di "accordi concreti" già in fase di preparazione. Il riferimento va sia ai missili a lungo raggio Tomahawk, per i quali Washington non ha ancora preso una decisione finale (anche per non deteriorare i rapporti con il Cremlino), che al trasferimento dei sistemi missilistici Himars e Atacms che Kiev acquisterà dagli Usa attraverso un mega-accordo da 90 miliardi di dollari. Ma il nodo più delicato è stato l'alfabeto del dialogo: Zelensky ha affermato che "ci deve essere disponibilità da parte russa a impegnarsi in una vera diplomazia: questo può essere raggiunto attraverso la forza". Un'espressione che allude a un equilibrio tra pressione e apertura, non alla resa. La telefonata in sintesi ha un significato che va oltre l'assistenza militare: è un tentativo di ancorare il discorso di pace a un'agenda che includa l'Ucraina, e non una pace fatta su o contro Kiev.

Il dialogo tra Zelensky, che ieri ha avuto anche un colloquio con il Primo Ministro canadese Mark Carney, e Trump potrebbe essere il primo movimento di una strategia diplomatica più ampia, che guarda al retaggio di Anchorage ma tenta di superarne i limiti. La prossima settimana, una delegazione di alto livello guidata da Yermak e Svyrydenko arriverà a Washington per discutere cooperazione in materia di sicurezza e sanzioni. È probabile che nei corridoi della Casa Bianca vengano poste le basi per un modello negoziale tripartito: Usa, Ucraina, Russia.

Da un lato, Trump potrebbe usare il peso politico derivato dall'accordo a Gaza come leva per spingere Mosca verso un'apertura diplomatica, "un modello Gaza" applicato all'Europa orientale, che per altro farebbe felice Orbán, che proprio ieri ha annunciato una raccolta firme in Ungheria contro "i piani bellici della Ue".

Dall'altro, Kiev intende inserirsi attivamente nel negoziato, non restare spettatrice di un accordo scritto altrove, e con la sottrazione di territori. Il ruolo dell'Europa, che comunque prepara il muro anti-droni, e degli altri mediatori (come la Turchia, e i Paesi del G7) sarà fondamentale per dare legittimazione e garanzie al processo, se questo si aprirà davvero.

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